Questo live del ’77 costituisce una delle più efficaci rappresentazione del crossover fra jazz, rock e funk che, un trentennio addietro, si era soliti qualificare come “fusion”, genere di cui furono massimi esponenti gli immensi Weather Report di Zawinul, Shorter, Pastorius, la Mahavisnu Orchestra di John McLaughlin, i Return of Forever di Chick Corera ed un altro stuolo di artisti, tutti più o meno figliocci del Miles Davis della svolta elettrica, rivisitato con maggior appeal e furbizia, oltre che con occhio e orecchio attento ai fan del prog rock che, in effetti, costituivano il pubblico d’elezione dei suddetti artisti.

Il quartetto coinvolto nella realizzazione di 'Alivemutherforya' è, probabilmente, fra i più dinamici ed efficaci dell’epoca.

L’album è infatti dominato dalla batteria dell’acrobatico Billy Cobham, già alle percussioni della Mahavisnu Orchestra ed autore, in proprio, di un capolavoro come Spectrum; intarsiato dal basso di Alphonso Johnson, jazzista dal cuore funk e – a mio avviso – responsabile dei migliori passaggi dell’epocale 'Mysteriuos Traveller' dei Weather Report; sostenuto dal sax di Tom Scott, messosi in luce con Steely Dan e, successivamente, anche con i Pink Floyd, che traccia le principali linee melodiche dei brani; contrassegnato dalla tessiture di chitarra di Steve Kahn, già con i fratelli Brecker, che donano ad ogni pezzo un tocco d’atmosfera con si ravvisa in molte incisioni coeve; contrappuntato dalle tastiere di Mark Soskin, turnista dal curriculum eccellente a fianco di artisti come Joe Henderson e Sonny Rollins.

Tutti i brani brillano di luce propria e si distinguono per il calibrato intervento di ogni strumento, per l’eleganza degli arrangiamenti, per la coesione dell’ensemble: “Anteres the Star” spicca per le incalzanti melodie, “Bahama Mama” per le trame ritmiche di Cobham e Johnson, “Shadows” per l’atmosfera onirica costruita dall’intreccio di tastiere e chitarre, “Some Punk Funk” per il crescendo quasi orchestrale del funk jazz del gruppo, “Spindrift” e “On a Magic Carpet Ride” per il virtuosismo tecnico dei singoli musicisti impegnati nel progetto.

Non averlo sarebbe un peccato, ed il suo acquisto è consigliato per chi, stanco delle solite coordinate musicali, voglia gradualmente avvicinarsi al mondo del jazz.

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