Eccolo qua il vecchio filibustiere William Broad, in arte Billy Idol, in versione nuovo millennio, coi capelli sempre tinti color grano, l'ancor buona forma fisica esibita con tanto di leggera contrazione degli addominali ad uso della fotocamera e, nel mentre, la solita smorfia sull'immutata e impagabile faccia da schiaffi, solo un pelo imbolsita dalla sopraggiunta mezz'età.

Anche il disco (non recentissimo beninteso, è del 2005) non riserva grosse novità o sorprese: nel processo di completa restaurazione (tornano sia il produttore che il chitarrista artefici dei grandi successi anni ottanta, ossia Keith Forsey e Steve Stevens) viene ridimensionato soltanto il contributo delle tastiere elettroniche, al tempo in pieno sviluppo e tanto di moda ma ora non più cosicché l'abituale, peculiare punk/pop/rock eseguito dal nostro viene veicolato da suoni grossi, corposi, maschi, essenzialmente chitarristici.

La musica è comunque quella di sempre: punk addomesticato a pop metal, abrasivo solo formalmente, in realtà ben attento alla ricerca di accessibilità  e commercialità... solo che il treno per Billy è passato trent'anni fa e le mode e l'immaginario collettivo degli anni duemila si sono spostati su altre icone; il rock commerciale viaggia su altre coordinate e quest'album, pur buono anzi ottimo nel suo genere, non se lo sono filato in tantissimi.

La riproposta del rocker del Middlesex trapiantato negli Stati Uniti è peraltro molto ben congegnata: alla batteria evoluisce Brian Ticky, un vero martello nel cui curriculum figurano Whitesnake, Foreigner e Ozzy Osbourne... insomma il classico pestacchione hard&heavy (curiosità: si tiene in forma scazzottando furiosamente il sacco a pera dei pugili, a quanto pare uno sport di per se stesso, con tanto di appassionati e debite conventions!). Per quanto riguarda invece quel po' di tastiere presenti negli arrangiamenti, l'addetto è il ben noto e preparato Derek Sherinan (Dream Theater e Black Country Communion, oltre a molte e varie ospitate in campo hard e progressive).       

L'album in questione è solo il sesto di carriera... d'altronde Billy oltre a far musica si è speso in parecchie stronzate, disseminando il mondo di figli, beccandosi denunce per droga o danneggiamenti di camere d'albergo, distruggendosi una gamba in un incidente motociclistico nel 1990 (tuttora zoppica leggermente), vivendo insomma la più classica e dissennata delle vite da rockstar e facendo parecchia terra bruciata in quanto ad efficienza artistica e affidabilità. Questo suo atteso ritorno sulle scene (il disco precedente risale a dodici anni prima) è risoluto e potente, un più che dignitoso riciclo della propria immagine e del proprio talento, anche se non vale certo la sua opera di riferimento, ossia il capolavoro del 1983 "Rebel Yell".

Allora c'era una situazione di forma irripetibile nella collaborazione fra i tre protagonisti Forsey,  Stevens e Billy stesso. Il chitarrista in particolare svettava con partiture ritmiche, pads di abbellimento ed assoli di inestimabile classe e peculiarità... Anche qui il bravo Steve fa la sua parte, è pur sempre uno dei migliori chitarristi ritmici che la musica rock abbia partorito, preciso e in tiro (tight, dicono gli anglosassoni) all'inverosimile, ma niente di chitarristico suona autenticamente geniale stavolta, come sovente capitava nel già accennato lavoro uscito ventidue anni prima.

Non c'è altro da aggiungere, solo da provare a gustarsi queste sane e solide basi rock mezze punk e mezze hard, sormontate da un beffardo e sornione vocione baritonale, efficace e caratteristico seppur atteggiato. Billy Idol può risultare odioso o intrigante a scelta, magari anche inutile. E' un professionista, un bel mestierante, l'ispirazione è men che profonda ma la sua musica è tosta e piacevole, c'è applicazione e pure intelligenza artistica, sua e dei collaboratori. Il mio pollice è rivolto verso l'alto.

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