Si sente parlare spesso del pur seminale Substrata come il picco massimo della carriera del norvegese Geir Jenssen, alias Biosphere. La verità è che il maestro dell'ambient "glaciale", dall'alto dell'elevato valore di ogni opera pubblicata, ha anche fatto di meglio.

E' il caso di "Patashnik", disco del 1994 ed opera seconda di Jenssen, a mio avviso il suo capolavoro. Lavoro consigliabile a tutti coloro che vorrebbero avvicinarsi non solo al Biosphere artista, ma più semplicemente al concetto stesso che anima il suo sound, mai cosi chiaro come su Patashnik. L'ambiente angosciante e rarefatto, i bassi soffocanti e quel suono cosi freddo e surreale che rendono riconoscibile tra 100 un disco di Biosphere si puo dire parta proprio da questo disco. Ascoltando brani pazzeschi del calibro di "Startoucher" o la minacciosa "Phantasm", la sensazione non sarà poi molto distante da quella del ritrovarsi nel bel mezzo di desolate lande innevate, fuori dal mondo, in preda alle proprie emozioni; l'echeggiare di questi strani campioni fanciulleschi ('We had a dream last night..We had the same dream' recita una bimba) a sentenziare su droni della madonna in uno splendido contrasto bene/male sono il materializzarsi di quest'ultime. Musica glaciale, ambient "artica". E' già stato detto per l'appunto. 1000 volte. E' il potere della musica di Biosphere; è tutto il concept su cui si basa l'esistenza stessa di questo progetto. Senza non avrebbe modo di esistere.

Quest'ultimo è bene ricordarlo. Il mondo Biosphere nasce ispirandosi al famigerato Biosphere 2 Space Station Project, l'enorme ecosistema di vetro situato nel deserto dell'Arizona, che intendeva studiare e creare una nuova biosfera (da qui il 2) con l'intento di costruire delle colonie spaziali autosufficienti e vivibili su un ambiente isolato. Geir si pone il medesimo obiettivo, rigettando ciò sul mondo musicale. La creazione di un mondo sonoro nella quale entrare attraverso i suoi dischi, o meglio le sue "biosfere sonore".


Su Patashnik, cosiccome il precedente Microgravity, lo spazio per le ritmiche (quasi assenti in lavori più organici come appunto il celebrato Substrata) è ancora molto ampio, tant'è che il disco, come tutta la prima sua produzione, si avvicina più a territori techno piuttosto che altri ambient. A queste si affiancano particolari campionamenti cinematografici, e suoni registrati in presa diretta in quel della natale Tromsø, sua base operativa. Quando si parla di "Ambient Techno" oltre ai vari Orb, Sharp, Global Communication e compagnia non si puo non pensare a Biosphere, colui che più di tutti ha rappresentato i canoni del filone.

Se le due tracce citate (che sono l'avvio col botto dell'album) potrebbero ingannare, ci pensa "Decryption" a darci dentro col suo tam tam pulsante e ripetitivo a scandire una lenta marcia funerea. "Novelty Waves" presenta una parte ritmica ancor più marcata con una classica cassa secca oldschool; sullo sfondo suoni organici, campioni meccanici ed effetti onduleggianti posti su una bassline nebulosa che forgiano un suono ansioso e plumbeo. Piu veloce ma sulla stessa scia "Seti Project", bassi ossessivi, ritmi techno e la continua modulazione "a sparire" dei synth sono elementi che ritorneranno più volte nel corso di Patashnik. "Mir" e il primitivismo di "Caboose" sono episodi ipnotici quasi sul dark-ambient, praticamente l'opposto della titletrack, ossia l'unico momento radioso che segue quanto già fatto su Microgravity (lavoro decisamente meno oscuro e cerebrale).

Ma si tratta di un tassello fuori posto, un momento di lucidità prima della massima espressione del Biosphere Sound, perchè è proprio con la traccia seguente che si incontra il momento più alto e rappresentativo del disco: l'inquietante "The Shield", il capolavoro di Jenssen, 9 minuti estremamente intensi. L'intro ambient sul classico sfondo ghiacciato con tanto di immancabili effetti di vento realmente campionati (più volte presenti vedi anche "Botanical Dimensions") che si lasciano poi sopraffarre da bip e interferenze a preannunciare il punto cardine del trip attraverso la biosfera 3: una cadenzata marcetta spiritica di cimbali e vocals russi sapientemente posti in punti strategici, a creare ancora quel suono dimesso ed opprimente, più tipico della dark ambient di Lustmord che di mestieranti del lato meno pessimista e "naturale". Risonanze oscure, synth filtrati e grida strazianti appena percettibili arricchiscono lo scenario di quella che è una produzione teatrale più che musicale. Biosphere non fa che guidare l'ascoltatore verso la sua "cupola", un universo sonoro "distaccato". Amazing.

Se il famigerato progetto Biosfera 2 è miseramente fallito la stessa cosa non si puo dire di Biosphere, il suo mondo va alla perfezione all'interno della testa dell'ascoltatore, e questo è il motivo per cui ogni lavoro del norvegese è un esperienza irripetibile. Un tracciare nuovi orizzonti, nuovi universi, ispirato alla filosofia Eno, agli esordi ispirazione principale di Geir. Solo i Future Sound Of London hanno saputo manipolare la loro musica in un modo cosi "scenico" (in particolar modo Dead Cities), curiosamente intenzioni del tutto opposte al mondo che nasce (invece che morire) creato da quest'uomo venuto dalla Norvegia per riscrivere le regole dell'ambient. E forse pure del mondo.

Carico i commenti...  con calma