Cammina lentamente lungo le ceneri di ciò che resta per strada, vagando confuso nel cuore di una cupa notte, avendo come unica compagna di viaggio una pioggia incessante. Battente. Frastornante. Con i lampi che illuminano una grigia e anonima Laval allo stremo delle tue possibilità cerchi di andartene in un posto remoto, che sommessamente ti possa ristabilire. Un gatto nero ti s’avvicina solitario, nel mentre senti in lontananza i suoni di una natura morta. Sei alla ricerca di una speranza, di un qualcosa che possa dar senso alla vacuità di un mondo che non t’appartiene, che senti distante anni luce. A passi stanchi alzi la testa, cercando d’incrociare lo sguardo di quelle poche persone che ti appaiono dinanzi. Son occhi che non vedono, ciechi, soggiogati da un destino di apatia. È un’arrendevole dichiarazione di fallimento quella che leggi fra le righe. Osservi e non vedi altro che una linea piatta, come se non ci fosse alcun battito cardiaco, un continuum che annienta le personalità. Ti viene in mente quello stormo che hai visto al tramonto. Corvi così uniti, danzanti nel cielo, con una perfezione che ti appare stridente e dissonante.

Cedi. Torni a casa. Ti risvegli al mattino fissando il soffitto, perlomeno hai riposato qualche ora. Il tempo necessario per allontanarsi dal tedio di una polverosa realtà. Esci. È sempre lo stesso identico scenario. Negare la realtà sarebbe paradossale, inganneresti te stesso. Un orizzonte che non cambia, dentro di te sai benissimo che potrebbero passare settimane, mesi, forse anni e i volti che incontrerai lungo il marciapiede saranno sempre gli stessi, solo più aridi. Chiudi gli occhi e da quella desolazione immagini di poterti ergere come una fenice, pronta a risorgere, a fuggire da incatenamenti che non fanno morire, ma lasciano in una sofferenza perenne. Riapri gli occhi, ti ricordi chi sei ? Sì. Via l’edonismo, scaccia l’egoismo, seppellisci gli errori passati. Non soccombere alle illusioni, agli inganni. Vivere nell’ombra di ricordi oramai offuscati non ti farà stare meglio. Non esser prigioniero di un carcere quotidiano che rischia di farti annegare nei rimpianti. Rialzati dal pavimento e vai alla ricerca di qualcosa che ti faccia rompere il disagio che satura le tue coronarie. Eri un sognatore. E lo sarai di nuovo. Basta reagire.

Questa è l’atmosfera di Cottbus. Questo è Rise of The Phoenix. Questo è Collected. Loro sono i Birds In Row. Sono B, D, & T. Ragazzi della provincia francese che imprimono al loro hardcore emozionale le sfumature più disparate attingendo da un flusso continuo di urla lancinanti, provate, di chi è istericamente al limite della sopportazione e vede nella musica lo sfogo migliore per lasciarsi trasportare da fiumi impetuosi d’adrenalina. Suoni che vivono di riflessi, anime contrastanti che combattono l’una contro l’altra. La viscosità delle distorsioni, così profonde e soffocanti, si fonde con la solennità malinconica degli attimi più riflessivi e intimi. Lì, si raccolgono le energie per poter riprendere l’agonia che esplode in un crescendo collettivo. B, D & T orchestrano il tutto e non mostrano cedimenti, le fratture le provocano semmai. Rompono gli schemi e ricamano trame che mostrano ognuna una personalità ben delineata. Non attendono niente e nessuno, dritti per la loro strada fatta di DIY e melodie cicatrizzanti ti accompagnano lungo un tragitto cosparso di ferite inferte a suon di chitarra, basso e batteria. Tre semplici strumenti che però sono in grado di creare l’animo dolorosamente mutevole dei Birds In Row.

“War's not over, I've just found the flag. And I don't stand for the resigned one. Maybe It could leave me happy, maybe It could leave me broken, one thing is sure : It won't leave ignorant.”

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