Lo so, lo so... ho già recensito questo album , ma il problema è che rileggendo il mio vecchio scritto l'ho trovato stupido, quasi inconcludente ed inutile.

Perchè non aiuta affatto alla comprensione di un album criptico, ricco di sfaccettature e suoni, come questo "Drawing Restraint 9", perchè non bastano un paio di ascolti e quattro righe di giudizio per capirlo fino in fondo. Sì, perchè è troppo facile ridursi a dire "questo album è fantastico" oppure "questo album è inascoltabile", semplicemente soffermandosi sui suoni aspri che propone.

Perchè, davvero questo "Drawing Restraint 9", nonostante le abbondanti critiche ricevute, ha saputo trasportarmi in luoghi misteriosi, con l'unico supporto sonoro. Sarà anche grazie alle splendide immagini dell'omonimo film di Matthew Barney, il marito dell'islandesina, ma questa colonna sonora è molto più che un semplice disco. E' uno scrigno di segreti che deve essere scoperto fino in fondo, prima di essere apprezzato per la sua intensità.

E bastano le prime taglienti note dell'opener "Gratitude" per accorgersene. La voce di Will Oldham entra penetrante come quella di un usignolo ferito in cerca di compagna. La melodia si squarcia sulla meravigliosa interpretazione di una Zeena Parkins mai così eclettica e geniale. Un coro di bambini si scaglia sull'orizzonte, come il sole dell'est. E mentre l'incontro tra luce ed oscurità si unisce fino a che si invaghiscano una dell'altra, creando un acquerello di pura emozione, arriva "Pearl".

In questo pezzo è immancabile la performance Tagaq, cantante (?) inuit della quale subito Bjork ha colto un grande rispetto. I vocalizzi, i grugniti della performer sono per una volta frutto di ciò che voleva spiegare la canzone: il respiro delle cacciatrici di perle, il sussulto delle loro voci, i loro singhiozzi quando raggiungono l'apnea di un oceano infinito. Suoni gutturali a volte aggressivi vengono accarezzati dai bellissimi suoni scaturiti dallo sho, strumento musicale giapponese caduto in disuso, suonato magnificamente da una superba Mayumi Miyata. L'atmosfera è morbosa, acquatica, racchiusa tutta in quei suoni così enigmatici ed indefiniti. Un vero e proprio anfibio musicale.

"Ambergris March" toglie la passionale atmosfera della traccia precedente con una marcia allegra di glockenspiel, beats mark bell e harpiscord. A volte lo spettro del Frank Zappa più sperimentale ed ardito sembra nascondersi dietro gli accordi.

Finalmente, la voce di Bjork è protagonista nell'indefinibile gorgo di una "Bath" sospesa tra cielo e terra: ancestrale e sovrumana interpretazione che si snoda su passivi e quasi mortuari movimenti di pianoforte a cura di Akira Rabelais. La voce di miss Gudmunsdottir parte in tono quasi sommesso, per poi aprirsi come un bocciolo verso nuovi orizzonti che si procreano in acuti e vocalizzi di magnifica ipnosi.

"Hunter Vessel" è uno strepitio di fiati che si rincorrono tra loro, illuminando una tensione indefinibile che sembra perfetta per un inseguimento: un gatto che rincorre un topo. Davvero bella.

L'incredibile Sho torna a farsi sentire nella bellissima "Shimenawa": Zeena Parkins impercettibile sullo sfondo manda richiami alla luna con la sua arpa miracolosa appena toccata. Myami in primo piano raggiunge un profondo contatto spirituale con sè stessa. C'è molta profondità in un pezzo oscuro e apocalitticamente calmo, che viene rivisitato dalla brass band subito dopo in "Vessel Shimenawa".

"Storm" è il capolavoro del disco: indefinibili squarci elettronici, onde sonore devastandi, temporali, tempeste sonore si battono con l'inquieta voce di Bjork, che governa bene la scena in uno dei suoi pezzi più arditi e sperimentali di sempre: improvvisazioni vocali, tessiture di voce davvero incredibili.

Non poteva mancare la tradizione giapponese che è padrona nel film omonimo e che è protagonista nella criticata rilettura in chiave di teatro Noh di "Holographic Entrypoint", una performance in cui spesso la noia fa capolino, ma che era necessaria come cardine e chiave di volta in un'opera audio/video davvero particolare. Matthew scrive il testo e lo fa tradurre in giapponese, per poi farlo interpretare ad uno Shiro Nimura, talvolta inquietante, talvolta innocente. Improvvise battute percussive (legnetti?) irrompono dal fondo.

"Lei taglia la figura di lui/ Lui le squarcia il campo"

...parole di violenza e intensità poetica, che porteranno al culmine di una metamorfosi amorosa e sommessa, come la trasformazione in balene, pronte a fuggire in orizzonte.

Trasformazione che avviene lentamente in "Cetacea", dove ritorna Bjork in un'altra sorprendente performance vocale, che si snoda sul celeste di Jonas Sen e sull'arpa dell'immancabile Zeena.

"In ogni parte/ la parte intera che tu vedi/Nel modello/il sangue fluido/prende forma/[...]/La natura cospira nell'aiutarti"

E la natura si completa finalmente nell'assoluzione di una splendida "Antartic Return", che a dispetto del titolo, è un punto di non ritorno. Dove due anime cetacee si scagliano verso l'oceano (sonoro?).

O lo si ama o lo si odia.

Io lo amo.

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