Björk ritorna, dopo Dancer in the Dark, sul grande schermo, stavolta nel film Drawing Restraint 9, del marito Matthew Barney. Il film, presentato alla mostra di Venezia, viene detto dai tanti critici un lavoro sperimentale, ermetico e inconcepibile, altri lo definiscono invece snob e inutile... ma l'unica cosa di cui si possa esser certi è che questo film è caratterizzato da una grande particolarità, da una stranezza, che non ne permette la diffusione presso il grande pubblico, verso la massa.
Eppure, la musica siamo riusciti a trovarla. Fortunatamente.

Drawing Restraint 9 è una colonna sonora firmata, prodotta, da Björk, che offre la voce solo a poche canzoni. Il disco si apre infatti con "Gratitude", lettera, per l'appunto, di gratitudine narrata dalle parole incerte e malinconiche di Will Oldham, che si librano fra le candide arpe e i puri cori dei bambini... sembrerebbe l'inizio di una favola. Una favola decisamente sinistra, susseguita dagli echi primordiali di una tagaq in ottima forma, in bilico fra il terrore e l'eccitazione, senza però eccedere in nessuno dei due. Brano rilevante principalmente per il chiaro riferimento a Medùlla, non del tutto capito nel contesto, almeno ai più. Agli ultimi sospiri della tagaq, sussegue la marcia. La festa. I campanelli. Eppure, non si può definire "Ambergris March" gioia. L'atmosfera è cupa, pesante, sembra quella adatta per un sospiro malinconico durante un pianto, una tregua tra due guerre... gioia forzata. e gli altri strumenti soffocano i campanelli, bruscamente. Poche note di pianoforte ci segnano l'inizio di "Bath", dove pian piano riconosciamo una Björk del tutto diversa. La voce sussurra, ipotizza, triste, malinconica, sinistra, senza crollare, ne risollevarsi... Fino ad arrivare a sdoppiarsi, triplicarsi, sovrapporsi, e infine sfasciarsi, ricostruirsi e raggiungere l'unisono solo alla fine. Inutile dire che "Bath" possa risultare, ad ascolti disattenti, un insieme di gemiti senza un apparente conclusione. Eppure... Dopo i lamenti di Björk ci troviamo davanti al trio "Hunter Vessel"/"Shimenawa"/"Vessel Shimenawa". Siamo di fronte a strumenti, solo strumenti, storpiati nel ricreare il più cupo senso di oppressione nell'ascoltatore. Eppure, il pericolo non arriva mai. A questo punto c'è la tempesta... per niente ordinaria, però. I suoni freddi e impassibili di Björk collaborano con i suoni naturali, atmosferici, e artificiali, elettronici, nel ricreare un'atmosfera cupa, tesa, sinistra. Non ci sono impennate, onde, tutto è calmo, silenzioso, ed è per questo che incuote tanto timore, tanta oppressione. E tra gli acuti e un battito eletronico impazzito, attraversiamo il mare per ritrovarci in prima fila ad uno spettacolo di teatro NO, tipica "specialità" giapponese. Certo, bisogna dire che il simpatico giapponese ha l'arcano potere di portare all'esasperazione l'ascoltatore che già dai primi minuti stronca i gemiti e passa frettolosamente alla traccia seguente... ma questa traccia rende perfettamente l'idea di cosa è il teatro NO, ed ha in qualche modo un certo fascino. Ad ogni modo, non è una pretesa di originalità o una manifestazione di quanto la compositrice sia snob... semplicemente ci ha mostrato un po' di giappone tradizionale... (tanto per tirarvi su, vi ricordo che di solito questo genere di spettacoli durano molte, molte ore in più. Ore, non minuti.) Ed ecco arrivare l'eterea "Cetacea". La canzone risulta vuota, scarna, lamentosa, incerta... La voce di Björk sta tremando, insicura, e si sfoga appena. Un esperimento mal riuscito, forse. E poi... i titoli di coda. "Antartic Return". Strumentale, il protagonista è lo Sho. Lo Sho, rassegnato, sembra riprendere le canzoni precedenti, giudato dalla maestria di Mayumi Miyata, e pian piano, lentamente, ci dice che non c'è più nulla da descrivere.

Drawing Restraint 9 è una colonna sonora. Prodotta da Björk, certo, ma non è assolutamente un suo album. Ecco perché nelle 11 tracce non troviamo le emozioni e le ideee di Björk, che da Glin Glò a Medùlla sono risultate sempre esplosive, irrefrenabili, passionali. La musica di questa colonna sonora, invece, sembra incatenata ad una linea piatta, e appena se ne allontana, viene lentamente frenata e riportata dove aveva tentato la fuga. Il disco è cupo, tenebroso, malinconico, rassegnato... opprimente. Björk è fra i COMPONENTI più importanti, di questo lavoro, che dirige, perfeziona... sempre per l'espressione delle emozioni, certo... ma stavolta non le sue. Quelle del marito, Matthew Barney. Se il disco non risulta soddisfacente, ci troviamo davanti ad un'irrimediabile conseguenza del film. Se un film fa "schifo", solo una colonna sonora altrettanto "schifosa" sarà riuscita bene. Altrimenti, non sarebbe più una colonna sonora.

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