Nel 1997 Björk, la ormai famosa cantante islandese che, dopo i il jazz di glin glò, il ritmato ed "etnico" Debut e il disco di riflessione, di transizione, che Post sembra rappresentare, giunge alla grande svolta. Björk ora non è più una ragazzina. Björk è una compositrice matura, e lo dimostra in Homogenic. Homogenic non è solo una raccolta di canzoni. Homogenic si pone come un viaggio, un percorso, tracciato e raccontato dalla fantastica voce di Björk.

Il disco si apre infatti con le percussioni sommesse di "Hunter", in cui Björk sembra dichiararsi la cacciatrice, che sta cercando, ed è decisa a trovare. La voce fredda e limpida ci inizia già ad aprirci nuovi orizzonti, e man mano ci porta a seguire la ricerca di ciò che la cacciatrice vuol capire, nel profondo: l'amore in tutte le sue forme. E così veniamo guidati in Islanda, attraverso i violini di "Joga", e la voce di Björk, che sembra emulare l'eco fra le alte e incontaminate montagne, sussulta, esplode, e ci dimostra l'elevata capacità tecnica dell'artista. Nello stesso modo, e nello stesso luogo, ci sarà mostrata la caverna di "Unravel", splendida "serenata", maliconica constatazione di quanto sia dolorosa l'attesa di un amore perduto, ove Björk si sdoppia, e si sovrappone, geme rassegnata su un sommesso fondo di suoni statici... ma quando l'amore ritorna non c'è scampo. La passione ci sommerge, come il mare in tempesta di "Bacherolette". Björk qui rielabora a modo suo, con i suoi amati archi stesi su suoni elettronici, una classica forma di canzone, simile alla sceneggiata napoletana. Qui l'effetto dei ghiacci regala splendidi effetti, poiché la sua apparente freddezza esplode nella più grande emotività, con prestazioni vocali che sono forse fra le migliori di tutta la sua carriera. Ma quando ci allontaniamo dalla passione ci sono già ad aspettarci la goccia elettronica di "All Neon Like", che stavolta cadrà su un fiume di suoni artificilai, che voglion però ricreare quelli naturali, al contrario.

Il fiume si prosciuga ben presto quando sfocia però sulle rocciose note di 5 years, dove Björk ruggisce, impreca, nella metafora dell'amore-odio. A questo punto, bruscamente, ci ritroviamo fra i rimproveri di "Immature", e vediamo già scendere la notte, fra i pochi accordi di pianoforte e i suoni frenetici e disordinati. E dopo "Immature"... sembra arrivare una canzone del tutto inappropriata ad Homogenic. Ritroviamo infatti la "dance pop" per cui Björk si era fatta conoscere. Decisamente da interpretare. Abbiamo poi "Pluto", la reinvenzione, la rinascita, che porta fra le urla alla presa di coscienza, alla soluzione. Tutto è pieno d'amore. Ed è allora che la voce di Björk emula i raggi di sole, che sciolgono i ghiacci, portando un messaggio in fondo sempre risaputo. Questo disco non è una ricerca dell'orginalità, dello sperimentare. Al contrario, è un disco che si prefigge un solo obbiettivo, senza pretese alcune: esprimere emozioni, nel modo più aperto, semplice e diretto. Al cuore si intende.

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