Leziosa e allo stesso tempo struggente. Soltanto Björk, musa di registi psicotici e icona anti-pop per antonomasia, avrebbe potuto realizzare un disco così insopportabilmente snob nella sua disarmante essenzialità. Aveva ragione Picasso quando diceva che per imparare a dipingere con la semplicità di un bambino ci voleva un’intera vita. Björk sembra aver fatto (inconsciamente) tesoro di questa apparente provocazione.
"Medùlla" è la naturale prosecuzione di quella “disintossicazione elettronica” avviata col precedente "Vespertine". In questo disco i beats dei Matmos cedono il passo alle voci del coro islandese e ad una manciata di ospiti, tra i quali spicca l’ex Faith No More Mike Patton. Ma è la sua voce a regnare incontrastata sulle algide trame vocali che impregnano le quattordici canzoni di "Medùlla", alcune delle quali eseguite nella sua (a dir poco ostica) lingua madre.
Brandelli della Björk che fu emergono in brani come "Who Is It", e alle orecchie anche del più sprovveduto tra gli ascoltatori suonano come un flebile legame con un passato recente mai sembrato così lontano. La cantante non abiura, ma di certo non si volta indietro e, come un novello Paganini, non si ripete mai. Tutto questo per la gioia (?) dei suoi fedelissimi ascoltatori.
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