Ed eccoci finalmente a ciò, che mi riguarderei bene dal non far mai mancare all'interno del mio kit di sopravvivenza per diluvi universali:
"Feather And Stone", 2007 (Southern Lord).
Questo lavoro, successivo a "Bestial" (2006), è il passaggio decisivo dei Black Cobra a confermarsi band di culto, e ben intenta nel guadagnarsi con sudore e fatica una nicchia all'interno del panorama stoner-doom che la modernità ci manifesta spesso con molta frettolosa facilità. Il Cobra Nero è, come forse in pochi sapranno, capace di imporsi sin dai primi ascolti per la sua devastante quanto distorta "necro-energia" centro-americana, non soltanto confermata, ma addirittura superata in questo cd, dove la velocità della luce è robetta in confronto a mammutthiane litanie come "The Shapire Falcon", colata lavica e squarciante, degna delle più raccapriccianti eruzioni vulcaniche. Sìssignori, qui le note ci sono tutte e si fondono in un tutt'uno con la roccia, che non viene a mancare nemmeno per allucinazione, ad esempio in "Below The Cusp", attraverso il quale riesco a sentire inversioni magnetiche imminenti quanto profetiche, intente ad esortarmi di cominciare a correre, senza confidarmi della percentuale di possibilità per cui potermi salvare.
Roba da matti.
Ma per farvi respirare il "passo in avanti", è giusto far notare come l'intero album sia legato ad un concetto intelaiato saldamente, brano per brano, e che vede a mio avviso nella ferocia della vita umana una chiave di lettura particolarmente rilevante ed impiegata, anche con moderata vena espressiva (si pensi a "Thanos", ballata onirica ed odisseica). E le sorprese sembrano non finire mai, specie se si è così virili da analizzare l'irruente violenza amplificante di "Red Tide", un rosso monsone di turbinii devastanti ed impietosi, lasciato lì, "a passeggiare" sui vostri timpani impotenti e narcotizzati: schiavi del sortilegio pre-colombiano che i due sciamani/compositori si permettono di occultare in ognuna delle loro lancinanti creature compositive.
Quello che però più mi soddisfa di questa band, è l'attitudine. Ad esempio, una volta giunti all'oracolo di "Dragon & Phoenix", sembrerà impossibile ai più, ma si riuscirà a percepire una vera e propria influenza zoroastrista, simbolicamente e solennemente incisa sullo stesso titolo del brano proposto. Brano questo, di una veridicità e vitalità a dire poco solare quanto radioattiva. Senza dubbio fra i migliori. Che dire poi di "Ascension"? Difficile, per davvero, descrivervi l'incalzante emozione, i brividi, il gelido sudore, che la mia pelle prova appena accesesi quelle che paiono essere due distorsioni Himalayane dall'eterea manifattura, scemanti verso una discesa senza freni, da quota 8700 e passa kilometri di altitudine, e barbaramente culminanti poi nell'ultima "Swords For Teeth", carro armato di sacre vibrazioni hindi, in grado di rimettervi apposto molari, gengive e smalto, senza nemmeno farvi uno sputo di fattura "cthulhuiana".
Vi chiederete: e la prima traccia??
La prima traccia? Bene.
Quella la lascio commentare a voi, immaginandovi sbigottiti e pietrificati dall'insolenza, l'ignominia, l'assurdità, la preponderanza e la sciamanica virulenza occulta che questi due sciagurati si sono mai sognati di comporre, a partire proprio dalla mastodontica "Five Daggers".
Anche in questo caso, si sconsiglia l'ascolto ai deboli di "ascolto".
Qui non ci sono anti-nauseanti previsti in dotazione...
No, proprio non ci sono.
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