Il secondo album è sempre un azzardo. Si ha tutta una (giovane) vita per concepire l’esordio e pochi mesi, a volte poco più di un anno se si è fortunati, per concepirne il seguito, spesso deludente o fotocopiante l’acclamata rivelazione.
Parte il primo brano: straniamento, momenti di incertezza e… ci si chiede se abbiamo sbagliato gruppo, anno, etichetta. D’accordo, c’è sempre po’ di Steve Reich nei Black Country, New Road (i minimalisti americani c’entrano sempre con l’art-rock), ma chi si aspettava un’orchestrazione così ricca con la chitarra elettrica in secondo piano? Un vero prélude strumentale da opera-rock senza lo strafare sbracato che il genere generalmente suggerisce e che pericolosamente ci ha quasi sempre inflitto.
Pura meraviglia di scrittura, di esecuzione, di arrangiamento.
E siamo solo all’introduzione (Intro è paradigmaticamente il titolo) di Ants From Up There, secondo attesissimo capitolo del combo di Cambridge che ha infiammato quasi all’unanimità la stampa specializzata da un paio d’anni a questa parte.
Dire “opera” spesso significa melodramma, ed è un melodramma destrutturato quello che sembra andare in scena ad un primo ascolto, già ampiamente anticipato fuori campo dalla defezione inattesa e quasi brutale, a pochi giorni dall’uscita del disco, del cantante e chitarrista Isaac Wood, la cui voce profonda e liricamente tragica è indubbiamente uno dei motivi dell’immediata riconoscibilità del gruppo e del suo successo.
Non c’è tempo per sbalordirsi troppo, la meraviglia continua con il secondo brano, e la cifra stilistica dell’album è ormai chiara: bozzetti, sovrapposizioni, inserti di fatture e stili diversi si coagulano in un complesso straordinariamente coeso.
Se nel debutto For the First Time le incursioni jazz/new-no wave del sassofonista Lewis Ewans, come d’altronde le colorature espressioniste del violino di Georgia Ellery, erano ambiziose e nervose sovrapposizioni su un intreccio di basso/chitarra/batteria di impronta post-rock (Slint, certo, ma anche Tortoise e in parte il math dei Battles), in Ants… fiati ed archi sono spesso protagonisti e motori della struttura compositiva in un entusiasmante rincorrersi tra le influenze più disparate.
Anche il titolo di questo secondo brano, per quanto oscuro, non cerca ambiguità – Chaos Space Marine – eppure è un caos cristallino, controllato e allo stesso tempo straripante di emotività. L’attacco della voce di Isaac sembra ricordare il miglior Neil Hannon (Divine Comedy) per poi esplodere, spalleggiata dall’impressionante progressione dell’intero gruppo, in un omaggio entusiasta agli Arcade Fire di Funeral, più volte citati come prototipo di riuscita artistica (“The next Arcade Fire – that’s our goal,”). Epico senza dubbio, magniloquente forse, ma nessuno si sognerebbe di cambiare un’unica nota.
Una nota a parte, e scusate il gioco di parole, meritano i testi maturi e desolati di un Isaac Wood al limite del crollo emotivo. Senza raccontare una storia precisa e lineare come in un concept album, l’ormai ex voce dei BCNR (“It’s daunting to be ‘the voice’ of a band” ricorda la bassista Tyler Hyde), nella sequenza dei brani di Ants… traccia la parabola inarrestabile della fine di un amore, di una relazione, probabilmente quella di Isaac con il mondo della show-biz e dell’illusoria armonia con i suoi perduti compagni di viaggio. Una trasfigurazione persino fisica in Chaos Space Marine – “Darling, will you take my metal hand It's cold”, “So I'm leaving this body and I'm never coming home again”, “I’m becoming a worm now and I'm looking for a place to live”.
Un sentimento di deterioramento e collasso che si amplifica in Concorde – “And the doctor said we are unfortunately running out of options to treat, what a funny way to speak” – terza canzone dell’album, in cui la metafora dell’antico gioiello tecnologico, progresso chimerico ridotto a reliquia impolverata, viene cadenzata su una sfavillante ballata che mescola valzer e folk (superbo lavoro di Ewans ai fiati con la Ellery al mandolino) tra echi bowiani e zampilli di Waterboys e Dexys Midnight Runners.
La mistificatoria esuberanza iniziale viene totalmente soffocata nella seguente Bread Crumbs, musicalmente ispirata a detta di Wood da Music for 18 Musicians di Steve Reich (ebbene sì, ancora lui). Il brano, che almeno nell’arpeggio di chitarra iniziale paga qualche tributo a In Rainbows dei Radiohead (Reckoner, Weird Fishes/Arpeggi) si dischiude precipitando in malinconia straziante che rievoca i primi Penguin Cafe Orchestra del rimpianto Simon Jeffes. Brandelli di ricordi di un amore, spesso a distanza, che sta per dissolversi – il fastidio provato per delle briciole di un toast mangiato a letto diventa rimpianto quando accostato alle chiamate zoom imperfette con il wifi saltellante – ma che si sublima in una costruzione armonica sempre complessa e coinvolgente con le sue rapide e poi trattenute accelerazioni.
Si potrebbe parlare a lungo anche degli altri brani ma la chiave di lettura è ormai definita e ciascun tassello offre una nuova variazione della stratificata concezione artistica che rende Ants… un lavoro assolutamente imprescindibile. Richiami, influenze, omaggi ce ne sono a bizzeffe, eppure i Nostri arrivano con una padronanza spettacolare a restituire il caleidoscopico tumulto del materiale assemblato in una visione pienamente personale – onore e gloria anche all’eccellente apporto del produttore Sergio Maschetzko, stranamente ignorato nelle innumerevoli recensioni.
Solo un accenno alla finale Basketball Shoes, l’unica a riproporre un’iniziale ripresa delle atmosfere slintiane che padroneggiavano in For the Fist Time: la sua lenta e progressiva trasformazione è l’emblema del nuovo corso dei BCNR, come se fossimo testimoni in pochi minuti di un’evoluzione avvenuta lungo svariati mesi. Ants… è anche l’appropriarsi definitivo della band di tutte le sue ascendenze più britanniche (in senso lato) quando il primo album suonava piuttosto come un’emanazione nel segno del post-rock statunitense su cui innescare una sensibilità europea, soprattutto nel cantato e nella già presenta varietà strumentale.
Orfani di Woods, i BCNR sono ora un’incognita ma dalle dichiarazioni sembra che si stia preparando una nuova svolta. Io sono fiducioso.
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