Leggevo tempo fa un articolo dove si lamentava la penuria di giovani talenti italiani in campo musicale. A pensarci bene non si può che concordare. Si sprecano i gruppi e i solisti sopra la trentina se non addirittura oltre i quaranta (tralasciamo gli over 50 che ce ne sarebbero a bizzeffe), ma trovare qualche rockettaro in erba risulta impresa assai improba. Per quanto ludico possa essere l'argomento, la tendenza è veramente preoccupante e alquanto improbabile, al momento, prospettare un cambio generazionale.

Ben diversa la situazione oltre confine - in verità più sul piano quantitativo che qualitativo - e se pensiamo, chessò a qualche giovane talento tipo Conor Oberst (alias Bright Eyes) appena ventottenne e già con una discreta carriera alle spalle, oppure ad Alex Turner (classe 1986) in pista con gli Arctic Monkeys e i Last Shadow Puppets (discutibili, ma tant'è) la prospettiva assume tutt'altre sembianze.

I Black Kids sono un giovanissimo quintetto proveniente da Jacksonville (Florida) e con "Partie Traumatic", nel luglio appena trascorso, licenziano il loro primo full-lenght. Passati sotto silenzio dalle nostre parti, i Black Kids hanno ottenuto una discreta visibilità in patria e ancor più nella terra d'Albione.

Dal booklet allegato al cd non si riesce ad intuire bene la fisionomia dei cinque, ma cercando in rete ci troviamo di fronte a cinque imberbi ragazzi - due femmine e tre maschi - che tutto avranno meno che il pshysique du role di una qualsiasi rock band adolescenziale. L'alone di sospetto e il timore di avvicinare un'opera di cinque ragazzotti poco più che ventenni mi pare quantomeno d'obbligo. Dieci brani per altrettanti potenziali singoli, questo è il sunto del discorso.

Un mix di sonorità scoppiettanti che rimandano ad un certo synth-pop di metà anni ottanta, che per una volta - pur riconoscendo la mia parziale soggettività per quel periodo - vogliamo provare ad accettarlo e prenderlo dal lato positivo anziché vedere sempre e solo plastica in quel decennio? Si viaggia dalle parti di un Robert Smith con venticinque anni in meno (e pure venticinque chili in meno), completamente struccato e disincantato. Il timbro vocale del loro leader Reggie Youngblood si rifà smaccatamente al principe del dark specialmente nelle tonalità più alte. Canzoni piuttosto immediate e di facile assimilazione edulcorate al punto giusto da non scadere mai nel dozzinale, che si sa, quando la materia trattata è il pop inteso in senso stretto nella sua forma canzone, il rischio di essere banali è sempre in agguato con conseguente concreta probabilità di varcare la sottile soglia di demarcazione fra il buono e il cattivo gusto.

Bene, i Black Kids saranno pure derivativi alla morte (ma chi oggi non lo è!) e potranno certamente subire l'accusa d'essere additati come epigoni degli anni ottanta giunti fuori tempo, ma questo disco scivola via che è un piacere e chissenefrega se questa è musica per teenagers. Mi sovvengono a volte i Phoenix, a volte i Go! Team, a volte i Killers, a volte i MGMT frullati, shakerati e serviti con una scorza dei Cure più leggeri e briosi. Produce, con gusto e senso della misura, Bernard Butler ex chitarrista dei Suede.

Prendete l'auto, andate in autostrada, mettete questo disco e cantandolo a squarciagola vi renderete conto che non potete fare a meno di agitarvi e picchiare le mani sul volante al ritmo di questi cinque discoli che, se non altro, hanno tanta voglia di divertirsi.

 

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