I Black Lips sono una delle cose migliori che potesse accadere all'odierno panorama musicale.
Un vero toccasana in mezzo ad una selva di gruppi finti, intenti più che altro a rovistare l'armadio prima di un concerto, invece di controllare la proverbiale quadratura dei testicoli. Basta buttare un occhio alle foto del gruppo all'interno del booklet per capire: 4 tizi improponibili, uno con l'intera arcata dentale superiore d'oro, uno con degli occhiali riciclati dal nerd di Riptide, un altro con una canotta militare, pantaloncini Adidas anni '70 e due gambette ridicole. E se non basta, fatevi un giro sul sito della Vice Records e controllate l'attitudine live immortalata nell'ultimo live a Tijuana, o il tour per le strade di Gerusalemme, fra rabbini attoniti e bambini palestinesi perplessi. Puro non sense. Talmente cazzoni e scarsi musicalmente da riportare alla mente i mentori della cazzoneria in musica: i finti fratelli Ramone.
Mentre i Ramones velocizzavano i loro amori garage d'infanzia, i Black Lips molto più modestamente si limitano ad omaggiarli, ma grazie a tale vena scanzonata riescono a risultare incredibilmente freschi e divertenti. Il passaggio alla Vice, dalla pluri rinomata In The Red, ci presenta un gruppo spogliato degli elementi marci e al limite del noise dei precedenti lavori. Non sono ovviamente diventati un gruppo pop, ma hanno di sicuro ampliato lo spettro di utenza della loro musica. E non hanno neanche preso alcuna lezione nei relativi strumenti. Approssimativi erano e approssimativi rimangono.
Un approccio meno lo-fi punk quindi, sostituito da iniezioni acide, come nelle chitarre in riverse dell'iniziale "I Saw A Ghost (Lean)", nelle reminiscenze Seedsiane di "Lock And Key", o nelle urla belluine di "Slime & Oxygen". Non mancano ovviamente pezzi garage di una semplicità devastante ("O Katrina!", "Cold Hands" e "Bad Kids"), ma dall'incredibile potere additivo, né tantomeno gli esperimenti quasi demenziali. "How Do You Tell A Child That Someone Has Died" è precisamente quello che il titolo preannuncia, sulle note di un country con tanto di slide, "Veni Vidi Vici" fa il verso a Wilson Pickett, "Navajo" è un'improbabile storia d'amore con una squaw, a base di chitarra twangy.
L'unico timore che mi attanaglia, è che possano perdere la loro innocente verve demente, visto le ultime apparizioni nelle più importanti vetrine musicali d'America (Conan O'Brien compreso).
Confidiamo nell'infinito potere dell'incoscienza giovanile, speriamo li tenga ben distanti dal Dio Dollaro.
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