Più di una volta, durante i miei ciclici periodi di nullafacenza ossessivo-compulsiva, mi sono chiesto quale fosse l'aggettivo che potesse meglio descrivere il sound garage. Aggettivi come ruvido, primordiale, sporco, essenziale, mi sembravano fin troppo "ricercati", cercavo qualcosa di realmente minimale, comprensibile anche all'uomo di Cro-Magnon per intenderci. Poi un giorno, durante una noiosissima riunione di lavoro del centro commerciale in cui lavoro, mentre il direttore forza italiota proferiva il Verbo aziendale, con tanto di ardite (per lui) quanto patetiche (per me) metafore calcistiche di ordinanza, ebbi l’illuminazione. Quando il direttore-pelatone-ex caramba interrogò noi infimi sottoposti (con l'aria di chi la sa lunga sulla vita, l'universo e tutto quanto), riguardo la definizione di "efficacia lavorativa", mi ritrovai a canticchiare "Not A Problem" dei Black Lips.
"Incredibile! Quale aggettivo migliore di 'efficace' per descrivere il sound garage! Massimo risultato col minimo sforzo!" pensai. E rispondendo così all'emulo del premier risolsi un annoso dilemma, riuscii a uscire dallo stato catatonico causatomi dal meeting aziendale (madonna manco fossimo il quadro dirigenziale della Toyota), suscitando inoltre un'occhiata fra lo stupito e lo sprezzante da parte del direttore.
Ovviamente quanto detto c'entra poco o nulla coi Black Lips, quattro post adolescenti veramente svalvolati, se non che il garage da loro suonato è quanto di più minimale e efficace mi sia dato ascoltare di questi tempi. Talmente fieri e autoreferenziali che mi verrebbe voglia di baciarli in bocca.
Questo terzo album raggiunge il massimo della resa sonora col minimo delle capacità tecniche: due accordi due, voce sguaiata, registrazione lo fi e canzoni che si imprimono a fuoco sulla corteccia cerebrale. Se "Can't Dance" rimanda al primo punk (tipo Dead Boys), "Take Me Home (Back To Boone)", "Boomerang", "Fairy Stories" o "Everybody's Doin' It" sembrano outtakes di qualche volume di "Back From The Grave". Meravigliose anche le pseudo ballate: la psichedelica "Hippie, Hippie, Hoorah" in parte cantata in un francese demente da scuola media, una love song che più laida non si può ("Dirty Hands") e "Feeling Gay" il cui nome dice già tutto.
Un disco e una band da utilizzare come ottimo antidoto contro musiche pretenziose e direttori forzisti.
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