Li davamo un po' tutti per bolliti i Black Lips. Io stesso pensavo avessero già imboccato il viale di un lungo tramonto artistico, che avrebbero continuato a percorrere noncuranti del loro anacronismo musicale.

E invece, pur con l'abbandono di due membri fondatori, i rimanenti Lips hanno caricato a bordo un batterista improbabile, un organista e una sassofonista, e hanno tirato fuori dal cappello magico, non solo un validissimo disco, ma anche uno dei loro migliori. Corale, variegato, fedele alla loro visione lo-fi e slacker del garage dei 60's, e arricchito da soluzioni mai così differenti e ben amalgamate lungo i ben 56 minuti del disco.

Oggetto alieno al genere garage questo "Satan's Graffiti..", vuoi per la suddetta durata, vuoi perchè separato internamente da tre interludi (manco fossero gli Yes, ma siamo matti?), vuoi per il ricorso a atmosfere mariachi, country e psichedeliche. In questo l'aggiunta in pianta stabile del sassofono e della tromba, già apparsi su “Arabia Mountain”, hanno giovato al fascino di molti brani, come il singolo “Can't Hold On”, garage messicano corale e dal tiro fantastico.

Ovvio, se si lancia uno sguardo indietro, della foga selvaggia di un disco come “Let It Bloom” non ve ne è più traccia nella forma, ma rimane nella sostanza. Nel country sbilenco di “Rebel Intuition”, nel western di “Occidental Front”, nel Farfisa distorto di “We Know”, nella depressione post sbornia di “Come Ride With Me” o nella psichedelia da Famiglia Addams di “In My Mind There's A Dream”. Sempre presenti anche le ballad ubriache e sceme, qui rispondenti al nome di “Wayne” e “Losers Lament”.

Apice del disco e canzone dell'estate Squatting In Heaven”, giro garage doppiato dal sax, coro da stadio, pausa e ripartenza come da breviario della perfetta garage song. Già tra i dischi dell'anno (e del cuore)

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