Dopo lo splendido album d'esordio dello scorso anno - ottimo compendio di rock psichedelico a tutto tondo - si rifanno vivi i canadesi Black Mountain con questo breve ma intenso 4 tracce. Moderni profeti di una musica e di un immaginario che attinge a piene mani nella tradizione rock '60 e '70, i Black Mountain proseguono nel loro percorso musicale fatto di paesaggi rarefatti scossi da fragorose sfuriate di chitarra, senza curarsi dei trend del momento, perennemente persi all'interno del loro "inner space" e assolutamente felici di esserlo.

"Druganaut" continua il discorso interrotto nel precedente lavoro, proponendo un sound ancor più spaziale ed espanso, tendente all'improvvisazione a briglia sciolta, grazie alla presenza massiccia di Moog e tastiere varie. La traccia che dà il nome al disco, trasfigura la short version contenuta nel precedente lavoro in un viaggio interstellare di matrice Hawkwind, mantenendo la struttura ritmica alla Can e reiterandola all'infinito, tanto da suscitare all'ascolto un senso di intorpidimento generale. Grandiosi gli interventi del Moog che contribuisce a dilatare e mesmerizzare le atmosfere. Ancor più dilatata (se possibile) la successiva "Buffalo Swan", canzone che gronda letteralmente LSD, lungo trip di 9 minuti all'interno del quale un riff minimale di chitarra appare e scompare fra nubi di tastiere, spesso intente a demolire i confini della forma canzone, fino alla liberatoria ed evocativa esplosione finale. Quasi superflue le ultime due tracce, una versione acustica della velvetiana "No Satisfaction" sempre del primo disco, e "Bicycle Man", tributo/plagio di "No Fun" degli Stooges, impreziosita dal sax del giapponese Masa Anzai.

Parafrasando un vecchio adagio: "Turn on, tune in, drop out!".

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