Avevamo lasciato i Black Mountain quasi 3 anni fa con l'EP "Druganaut", che seguiva di poco la pubblicazione del primo e ottimo disco dei canadesi, e che prospettava un allargamento sonoro del gruppo verso una cosmogonia psichedelica fortemente influenzata da tastiere spaziali. A che punto si è spinta questa evoluzione alla luce del nuovo "In The Future"?

Verrebbe da rispondere che la sperata svolta artistica non c'è stata; o meglio che sia stata una svolta in una strada parallela ma in senso vietato. Con tutti i rischi del caso. Come cercare di viaggiare nel senso di marcia contrario in superstrada. Può andar bene per un po', ma alla lunga le percentuali di incidente crescono esponenzialmente.

Gli elementi fondamentali del suono attuale dei Black Mountain si sono ridotti a due: tastiere e chitarre. Tanto volatili e plananti le prime, quanto ctonie e percettibilmente "heavy" le seconde. Al punto di ricordare, a seconda dei casi, gli Ash Ra Tempel con Jimmy Page alla chitarra, se va bene, o un ibrido orribile fra i Metallica periodo "Black Album" e Jean Michel Jarre, se va male. Un sound molto più frontale, che lascia meno spazio ai brani intimisti del primo album, eccezion fatta per l'omelia finale di Amber in "Night Walks". Il resto è quasi totalmente dominio della sei corde di McBean e delle tastiere di Jeremy Schmidt (il quale ha debuttato lo scorso anno con un disco solista alla Klaus Schulze, sotto pseudonimo Sinoia Caves). Se in alcuni frangenti il rapporto è stridente (l'entrata delle tastiere su "Angels" praticamente rovina il pezzo), in altri ci si trova di fronte a vere e proprie perle di heavy rock 70's fra le migliori sulla piazza, come dimostra l'iniziale "Stormy High", sorretta dal bordone d'organo e da una batteria caracollante e la tribale "Evil Ways".

Gli epici 8 minuti di "Tyrants" corrono sul sottile filo del rasoio fra essere convinti e genuini, ed essere dei tamarroni con le Flying V, col risultato di convincere a metà, vuoi anche per l'organo alla Goblin buttato dentro quasi a caso. Epicità che sfocia nella pomposità quasi pretenziosa dell'altro lungo episodio del disco, "Bright Lights", che parte decisamente bene col duetto ipnotico fra Mc Bean e Amber, improvvisamente interrotto da una chitarra quasi metal, assolutamente fuori luogo. "Wucan" e "Queens Will Play" fanno partita a sé; la prima, torbido e ipnotico viaggio nella notte, in compagnia di organi, moog e Alex di "Arancia Meccanica"; la seconda, algido affresco a metà fra omelia cristiana e evocazione pagana, con Amber a officiare il rito.

A dispetto del titolo, "In The Future" parla un idioma passato, e non sempre ne padroneggia i termini; speriamo gli errori di traduzione non si tramandino troppo a lungo altrimenti ci ritroveremo con dei revivalisti vecchi e stantii. E amiamo troppo i Mountain per lasciare che ciò avvenga. Capito Mc Bean?

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