Salve a tutti cari lettori di DeBaser, oggi ho deciso di scrivere la mia prima recensione su questo sito!

Trattasi di "13", diciannovesimo album dei Black Sabbath. L'intenzione della band, con quest'ultimo lavoro è un "ritorno alle origini", sia per quanto riguarda il sound, sia per quanto riguarda la formazione. Ritornano infatti la voce di Ozzy Osbourne e il basso di Geezer Butler, membri fondatori del gruppo, mentre dietro le pelli, un possente Brad Wilk (già famoso per essere il batterista dei Rage Against the Machine... scusate se è poco!) sostituisce Bill Ward, storico batterista dei Sabbath. Immancabilmente Tony Iommi alle chitarre.

"End of the beginning" apre le danze. Un riff possente, un macigno, ma sicuramente scontato, banale; non importa, è Iommi, e si sente. Appena la dinamica cala entra la voce di Ozzy, fuori luogo, effettatissima, forse la spina nel fianco durante tutto l'ascolto dell'album. L'atmosfera e le dinamiche ricordano palesemente quelle di "Black Sabbath", primo pezzo dell'omonimo disco, ma dal 1970 ad oggi si è persa tutta la magia che caratterizzava quei suoni. Neanche tre minuti dopo l'inizio, l'atmosfera comincia a scaldarsi e il tutto si fa più interessante, ma senza superare la decenza. L'assolo di Iommi è una boccata d'aria (così come sarà in tutto l'album). Nel complesso una buona canzone, in cui si sentono influenze di molti degli album precedenti (Mi è sembrato di scorgere anche degli eco di Sabotage..!).

Il secondo pezzo è "God is dead". Per potere valutare bene questo pezzo mi ci sono voluti numerosi ascolti. La prima parte del brano si basa su un arpeggio molto oscuro di Iommi, su cui Ozzy costruisce una gran bella linea vocale (forse la migliore esecuzione vocale di tutto l'album, ed è quanto dire). Il brano comincia a perdere di mordente nella parte centrale; buone idee si alternano a banalità stratosferiche e in certe battute sembra di risentire certi lavori solisti di Ozzy. Ma fermi tutti. Passati i 6 minuti, i tre "ragazzi" di Birmingham ci tengono a ricordarci che sono, comunque, nonostante tutto ancora i Black Sabbath. Iommi sciorina (oso dire) uno dei più bei riff della sua carriera (si, di TUTTA la sua carriera), seguito a ruota da Butler e da un sempre validissimo Wilk. Ozzy entra perfetto, linea vocale ottima. "Finalmente i Sabbath! Eccoli". Peccato che siano solo gli ultimi tre minuti di un brano lungo nove, che sembra non cominciare mai. "The Loner" nonostante non sia sicuramente un brutto pezzo passa inosservato, nulla di particolare.

Facciamo attenzione a "Zeitgeist", quarto pezzo dell'album. Praticamente un remake di Planet Caravan, ma che non trasmette un quarto della psichedelia dell'originale. Nel brano di Paranoid avevamo un suono caldo, subacqueo, ottenuto tramite l'utilizzo di amplificatori leslie, e di chi sa quali sostanze, questo "rifacimento" invece suona vuoto, freddo, nonostante una buona performance di Ozzy, un buon testo e un assolo finale di Iommi vecchia maniera. L'intento, gia inutile in partenza, di "coverizzare" una propria canzone è fallito miseramente. Riprendere il vecchio sound non significa autoplagiarsi.

"Age of reason"  fa la stessa sorte di God is dead, noiosa, nulla che mi abbia colpito, ne in senso positivo ne in senso negativo, a parte una pessima performance di Ozzy. "Live forever" si salva a momenti. Nulla di speciale, se non una ottima performance di Wilk (ottimo in tutto l'album, ma qui mi è piaciuto parecchio). In certi momenti farà sorridere i fan di "Born Again". Capirete ascoltandola.

E siamo arrivati finalmente a "Damaged Soul". Secondo me questa canzone è quello che viene fuori quando una band che sa di avere avuto influenze fortissime su tutta la musica dagli anni 70 a seguire, decide in un certo senso di "rendere tributo" a tutte quelle band che vi si sono ispirate. Decide di fare una dichiarazione d'intenti. Di mettere le cose in chiaro. Questo è l'unico pezzo dell'album che rispetta il motivo per cui lo stiamo ascoltando. Il ritorno alle origini. Perchè se negli altri pezzi, per ricordare quelle atmosfere si è dovuto scopiazzare qua e la, patinando il tutto con il suono delle produzioni moderne, Damaged Soul è l'unico pezzo per intero in cui si sente lo spirito dei Black Sabbath, e l'autentica intenzione che li portò a comporre pezzi come The Wizard o War Pigs. Il sound di questo brano porta con se la VERA eredità lasciata dai primi otto album dei Sabbath. Escluso Ozzy, mediocre come buona parte dell'album, il pezzo porta riff veramente belli, parti soliste mozzafiato e ottime esecuzioni. Si fa risentire anche l'armonica blues di Ozzy. Alla metà esatta del pezzo, Tony Iommi ci tiene a mettere in chiaro una volta per tutte come si suona la chitarra elettrica. Un assolo sentito, strappato via, senza effetti, dritto in faccia, con tutti i rumori delle corde involontari (?) lasciati li, finalmente, come non si sentiva da tempo. Il brano accellera verso la fine in un'atmosfera inconfondibilmente Sabbath. L'unico pezzo veramente BELLO dell'album.

L'album si chiude con "Dear Father", bel pezzo, ma che resta nella media dell'album.

A conti fatti, un album che preso a se è appena decente (Damaged Soul alza un bel po' la media!), ma se lo prendiamo assieme ai vecchi lavori viene surclassato, sotterrato fino a non contare praticamente più che un non del tutto riuscito tentativo di rimettere in piedi la baracca. Saggia scelta quella di ingaggiare Wilk, che se avesse avuto un minimo di possibilità in più, con dei pezzi migliori, non avrebbe per niente fatto rimpiangere il Bill Ward degli esordi.

Adesso scusate, ma mi vado a sentire Vol. 4...

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