1982: anno di svolta in casa Black Sabbath. Ronnie James Dio, che aveva impregnato con la sua mistica poesia due capolavori come "Heaven And Hell" e "Mob Rules", abbandona la band sbattendo la porta in faccia per contrasti con Tony Iommi riguardo alla registrazione di "Live Evil" (Live in effetti non esaltante, specialmente per la prestazione del Divino stesso nei brani pre-1980) e avviare una carriera solista, seguito dal fido batterista Vinnie Appice.
Tony Iommi si vede quindi costretto per la seconda volta a riorganizzare la band, e naturalmente il problema principale era trovare un nuovo frontman all'altezza del Sabba Nero. Dopo aver corteggiato David Coverdale, che rifiuta le sirene Sabbathiane per dedicarsi ai suoi Whitesnake, la scelta cade nientemeno che sul mitico Ian Gillan, ex cantante dei Deep Purple mk II e alle prese con una carriera solista poco soddisfacente. La firma del contratto avviene in circostanze alquanto pittoresche, a tutt'oggi il vecchio Ian non ricorda di aver mai accettato di diventare frontman dei BS, la leggenda narra che Iommi l'abbia fatto ubriacare per ottenere il tanto sospirato assenso. La line-up viene completata dal ritorno del vecchio drummer Bill Ward (che era tuttavia ancora alle prese con la sua dipendenza da alcol, tanto che nel fallimentare tuor post "Born Again" verrà rimpiazzato da Bev Bevan) e ovviamente dal fido Geoff Nichols alle tastiere.
L'album segna un nettissimo distacco dalle sonorità hard rock con influeze epico-rainbowiane dei suoi due predecessori per assestarsi su un mood duro, veemente e sanguigno, che ne fa un disco unico in tutta la discografia dei Black Sabbath. Il valore aggiunto è appunto Sir Ian Gillan, che riempie ogni canzone di acuti vertiginosi e urla esaltate, mettendo in mostra tutte le sue mostruose capacità, rendendo così "Born Again" una sfolgorante fucina di emozioni.
L'opener "Trashed" è uno dei pezzi più devastanti di tutto il repertorio Sabbathiano. Iommi si cimenta in riff taglienti e distorti, e Ian Gillan ci mette del suo raccontandoci in modo quasi epico ed eroico di una scellerata notte a base di tequila (fatto successo veramente) in cui ha sfasciato la macchina del povero Bill Ward. 4 minuti di hard rock terremotante alla massima potenza. poi tutto si calma con il breve strumentale "Stonehenge" in cui la tastiera di Geoff Nichols disegna amonie affascinanti ed estatiche, accompagnate dal battito di un cuore. E solo la quiete prima dalla tempesta....
Ecco che arriva una delle canzoni che definisco fondamentali per capire davvero i Black Sabbath, ovvero i 5 minuti di totale follia "Disturbing The Priest". Iommi tira delle schitarrate taglienti come rasoi e soprattutto Gillan si supera sfornando urla allucinate e acuti lancinanti in quanità industriale, raggiugendo una gamma di stili e registri impressionante: dal tono trionfale del ritornello a quello cupo e allucinato delle strofe. Il metal estremo nasce con questa canzone. Da un capolavoro all'altro: "Zero The Hero", lanciata dal breve stumentale "The Dark" è caratterizzata da un riff intenso e ossessivo che si ripete per tutta la canzone, arricchito dagli effetti della tastiera di Nichols. La canzone ha un testo sarcastico e un ritornello perfetto per i cori allo stadio, con tanto di eco. Vertiginoso e assordante l'assolo di Iommi.
"Digital Bitch" è un gradino sotto i tre precedenti capolavori: un bel pezzo hard rock molto tirato e orecchiabile, gran riff d'attacco e solito grandissimo Gillan. Il testo parla di una donna (Sharon Arden, dicono alcuni) di cui non è ben certa l'identità. Certo è invece che i Sabs non nutrivano grande simpatia nei suoi confronti "She's the richest bitch in town". Ecco che il clima si fa più sofferto e onirico e parte la stupenda titletrack, uno dei brani più poetici dei 4 di Birmigham, parla di un uomo che ha ormai perso lo stimolo per vivere "The tapestries all faded, their vague and distant glory, concealed in the gloom" che ricorda i tempi andati sperando in una rinascita. L'acuto di Gillan nel ritornello è a dir poco stupendo, quasi ultraterreno. "Hot Line" è in teoria la canzone più "brutta" dell'album: un'ottimo hard/blues molto sanguigno e passionale, che ci introduce a "Keep It Warm", una specie di semi-ballad che racconta di un uomo che abbandona la sua donna per vivere una vita avventurosa, ma promettendo il suo ritorno, come un novello Ulisse. Bello e solare il ritornello, che sfuma nel finale mettando fine a questo capolavoro unico nel suo genere.
Ma si sa, l'esperienza di Ian Gillan nei Black Sabbath non è stata così felice: i contrasti con Iommi e l'accoglienza tiepida da parte dei fans, che non hanno capito "Born Again", oltre che la prestazione alquanto scadente di Sir Ian nelle canzoni pre-Born Again, specia in quelle del periodo Dio, hanno provocato l'inevitabile rottura, da cui Iommi, abbandonato anche dal fido Geezer Butler, riuscirà a risolleversi solo 3 anni dopo, ma questa è un'altra storia...
Copertina orrenda e conturbante al tempo stesso.
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