Uno dei gruppi obbligati per chi timidamente si affacci nella musica elettrica. Tutti sanno cosa sia "Paranoid", tutti sanno chi sia Ozzy Osbourne, chiunque osi ascoltare anche solo un album di un gruppo rock qualsiasi degli ultimi 30 anni sa chi siano i Black Sabbath. Non è così automatico che essi vengano apprezzati da tutti, nè tantomeno che tutte le uscite di un gruppo, nel bene e nel male passato alla storia, siano da apprezzare.

Ebbene, il presente "Live At Last" è un disco da dimenticare, a meno che la foga di collezionismo sfrenato porti qualche malcapitato a spendere qualche spicciolo per pura cultura e conoscenza musicale. Ci sono molti classici, molti capolavori, ma presentati in una veste fiacca, con poco mordente e tecnicamente limitati. A riprova di ciò, il presente disco inizialmente non fu pubblicato (le registrazioni semi-bootleg risalgono al 1972, l'uscita ufficiale è dell' 1980), fu riproposto con dovuta rimasterizzazione negli anni 90 e come disco della doppia raccolta "Past Lives"; in tutte e tre le occasioni la proposta fu quantomeno ignorata, e non a caso.

La prima traccia è "Tomorrow's Dream", un pezzo minore della band (e anche uno dei più sottovalutati), la band parte compatta e macina il riff principale; inizia anche il cantante e... canta male. Un urlo nasale che non ricorda la passione (mai stata tecnica) che Osbourne infila nei dischi da studio. Anche la band alle sue spalle continua decisa, ma non esce mai dagli schemi, e i semplici riff che compongo il pezzo scorrono senza graffiare. Opener dal mancato impatto.

Un po' meglio va con "Sweet Leaf", sempre discutibile la voce di Osbourne, ma almeno il riff "doom ante litteram" colpisce più a fondo. I suoni non esaltano la successiva traccia, "Killing Yourself To Live" (tratta dall'album "Sabbath Bloody Sabbath"), che appare impastata e suonata dal chitarrista Iommi in maniera, diciamo, scolastica. "Cornucopia" è il pezzo successivo, e una composizione del genere, che punta sull'alternanza tra riff lenti e pesanti a parti più andanti, non viene riproposto significativamente: i cambi di tempo sono poco incisivi e la canzone passa senza lasciare traccia di sè.

Non male "Snowblind" (tratta da "Volume 4"), che, penalizzata dai suoni non eccellenti, viene suonata degnamente, e anche il frontman sembra più a suo agio al microfono. Sempre se non ci si aspetta chissà quale performance canora. Si prosegue con la celebre "Children Of The Grave", che risente di una generale "leggerezza" ritmica (infatti il drummer non appare particolarmente ispirato, anche se le composizioni non sono così ariose da permettere prodezze o tecnicismi).

Arrivati a "War Pigs", in una versione leggermente velocizzata, si nota più agilità e più potenza in generale, soprattutto ritmicamente. Prima della fine del disco, ecco che fa bella mostra di sè la autoreferenziale "Wicked World", che nei suoi 19 minuti presenta assoli e intervalli jazzati. Interessante ma non imprescindibile, soprattutto la durata è eccessiva e, francamente, i Black Sabbath non posseggono la padronanza tecnica necessaria per tenere alta l'attenzione per l'intero pezzo.

Non si poteva che chiudere con il classicone "Paranoid", eseguita discretamente anche se con la ormai solita mediocre prova di Osbourne (davvero orrenda in alcuni passaggi, a dire il vero).

A segnare per buona parte il destino di questo LP è il suono, spento e anonimo, e la prestazione altamente discutibile del frontman. I Sabbath non sono mai stati particolarmente rinomati per la tecnica sia dal vivo che da studio, ma ciò non toglie che questo "Live At Last" fotografi una formazione sottotono che pare una pallida coverband dei creatori di "Black Sabbath" e "Sabbath Bloody Sabbath".

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