Curiosando nel DeBaser ho letto un giudizio pesantemente negativo di quest’album del 1981, e ho pensato minchia, che abbiano sbagliato a mettermi il vinile nella custodia quando l’ho comprato? Deve esserci finito qualcosa degli Stryper, a leggere l’amico recensore. Vado a controllare. Tutto a posto, l’opener ‘Turn Up The Night’ è al suo posto con il sorprendente assolo di Toni Iommi e tutti gli altri pezzi che ricordavo seguono regolarmente. Che sollievo.
Che Ozzy nel ’78 fosse irrimediabilmente cotto o meno (mica tanto in realtà), il colpaccio di Toni per rilanciare il nome sulfureo di una onesta band di doom rock è di quelli che cambiano il corso della storia della musica. Approfittando di una diversità di vedute circa la prosecuzione stilistica della carriera dei Rainbow, il chitarrista riesce ad arruolare nei Sabbath un elfo piccino ma cazzuto oltre misura, che da solo canta come l’intero fottuto coro dell’Armata Rossa e gesticola ed interpreta come un attore scespiriano, e ci ha pure il segno apotropaico delle corna (in su e in giù) che per l’immagine della band è manna dal cielo. Il tipo s’è scelto un nome d’arte non proprio modesto, ma è davvero dotato di ugola infinita e di naturale predisposizione per il genere enfatico, sicché la rifondazione dei Black Sabbath si compie sotto il segno di quell’epic metal che alcuni scampoli dei Rainbow avevano prefigurato in modo eccellente (‘Stargazer’, ‘Gates Of Babylon’) ma non sufficientemente sviluppato, e dipoi abbandonato. (In effetti il genere, in mancanza di voci paragonabili a Dio – letteralmente – non riuscirà più efficacemente al Man in Black, e verrà da lui progressivamente accantonato in favore di un hard rock in chiave AOR, pregevole ma non più leggendario).
La storia dei Sabbath la conosciamo tutti: la collaborazione dura purtroppo il tempo di due album in studio e un doppio live, ottimo all’ascolto ma pesantemente rimaneggiato in studio, e saranno proprio le divergenze sul missaggio e la produzione di ‘Live Evil’ il pretesto per l’abbandono da parte di uno sdegnatissimo Ronnie. In realtà le due prime donne non ce la fanno a dividere o condividere la scena, ed il timone torna nelle mani del tostissimo Iommi, che evidentemente predilige l’idea di fregare i cantanti a Blackmore e si rivolge nientemeno che a… ma questa è un’altra storia, ovviamente.
Il repertorio dei Black Sabbath 'Mark II' è diventato negli anni patrimonio preziosissimo del genere epico, grazie ai riff a 24 carati del padrone di casa ed alla voce stentorea e tenorile del diabolico ed amatissimo folletto, sempre più beniamino delle folle rock, anche perché non si spompa assolutamente mai e sarà in grado di garantire fino alla morte due ore filate e passa di memorabili interpretazioni, tanto nei pezzi veloci quanto nelle ballads da cavaliere errante. ‘Heaven And Hell’ pone le prime otto fatidiche pietre tombali del sepolcro, come sappiamo, ma il successivo ‘Mob Rules’ non è da meno, a giudizio dei fans entusiasti di tutto il mondo che in breve lo premiano col disco di platino (e non sono ragazzi di bocca buona, non gli si può propinare Mino Reitano).
Cos’ha sentito allora di tanto nefando in questo disco l’amico recensore del 2005, il 24 aprile nel tardo pomeriggio, da punirlo con un giudizio così impietoso?
Io non lo so. ‘Turn Up The Night’ è un bel pezzettone veloce e porta sugli scudi un assolo di chitarra che fa esclamare, per caso Eddie Van Halen è passato da queste parti? Tutti i chitarristi ed i fan dei Black Sabbath conoscono la storia delle dita della mano destra di Toni Iommi, sua croce e delizia, perché se è vero che la mancanza di ben due falangi gli ha reso difficoltoso il fraseggio sulla tastiera (ricordiamo che Toni è mancino) ha anche provocato la nascita del genere doom, dovendo egli prediligere riff lenti e plumbei al punto di dover abbassare di tono lo strumento, con innegabile effetto sepolcrale.
Toni Iommi ha tutta la mia ammirazione e simpatia, perché un problema molto minore alla mia mano destra ha richiesto pazienza, dolore e tanto esercizio affinché io potessi continuare a suonare al solito livello, che sinceramente non è da disprezzare. Toni ha sempre affermato di provare molta sofferenza e nel mio piccolo, insomma, ne so qualcosa anch’io, e non ho neppure finito di combattere. (In effetti mi opero tra due giorni, e può essere che io abbia pensato al chitarrista dei Sabbath per questo motivo. Vada come vada, saprò adattare ancora una volta il mio braccio fino a suonare con il gomito o con i denti, se sarà necessario. Long live Rock and Roll).
Tutto ciò per dire che non eravamo certo abituati a sentirlo svolazzare sui tasti, ma in questo ‘Mob Rules’ sembra di sentire uno strumentista che ha trovato un nuovo modus vivendi con la chitarra, altro che album deludente. Nove pezzi della madonna, incluso lo strumentale E5150 (che sta per E-V-I-L se le cifre 5, 1 e 50 vengono espresse in numeri romani, un’idea criptica di Geezer Butler), tre o quattro pezzi da antologia ed un livello complessivo altissimo. Il disco è più maligno e più incisivo nel missaggio del precedente, che pure contiene almeno un capolavoro di maggior caratura, ed è molto più compatto e granitico, e tutti (non solo il chitarrista) hanno trovato la quadratura definitiva del suono migliore per questa formazione e questo repertorio. Bellissima l’opener, leggendaria la title track ed assolutamente da paura l’epica ‘Sign Of The Southern Cross’, mentre risulta forgiata appositamente per la voce e l’interpretazione di Ronnie James Dio la conclusiva ‘Over And Over’, uno dei brani ‘lenti’ più intensi mai registrati dai Sabs. Non saprei come parlare male di ‘Falling Off The Edge Of The World’, ma neppure di ‘Country Girl’ e ‘Slipping Away’, mentre ‘Voodoo’ sembra addirittura guardare al passato, giù giù fino al 1973. Non vi piace questo disco? Non vi piacciono i Black Sabbath, dico io.
Sarà la successiva comparsata di Dio con la band, undici anni dopo, a non essere assolutamente a questo livello, costretta in un genere che non le appartiene e non ha prodotto pezzi memorabili (forse uno, se proprio mi sforzo e mi viene la cacchina). Dopo il dimenticabile ‘Dehumanizer’ ed il passaggio di ulteriori quindici anni, la formazione nota come ‘Heaven And Hell’ (sebbene il nome Black Sabbath sia sempre di proprietà di Toni Iommi) ha proseguito il cammino replicando i fasti e lo stile dell’album eponimo e di questo ‘Mob Rules’, per nulla inferiore al precedente ed allo stesso unito stilisticamente e concettualmente. Tutto questo fino al triste stop dettato un brutto giorno da una Nera Signora, che neppure gli officianti del Sabba hanno saputo convincere a rinunziare e che ci ha improvvisamente strappato il Piccolo Uomo dalla Voce Grande. Non dal cuore, Signora, e nemmeno dagli occhi e dalle orecchie, perché lo sento adesso e lo sto vedendo, sta facendo ancora una volta il segno delle corna alla faccia tua, e a 65 anni suonati canta veramente come Dio, niente giochi di parole. La Signora non è pratica di tecnologia.
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