"Paranoid" (Castle, 1970)

A pochi mesi di distanza dall'uscita del loro primo album, i Black Sabbath tornarono in sala di registrazione e partorirono, nello stesso anno, il loro secondo disco, "Paranoid". E' l'album della notorietà, quello che consolidò definitivamente il successo dei Sabbath grazie, curiosamente, a quella che è senz'altro una buona song, molto travolgente, ma niente di eccezionale, forse il pezzo meno interessante di un disco che per il resto è una miniera di capolavori: "Paranoid", appunto, che dà il titolo all'album, un brano scritto e registrato in fretta e furia come riempitivo.

La copertina presenta un guerriero-maiale in assetto da guerra su sfondo nero, e infatti il titolo dell'album avrebbe dovuto essere "War Pigs", ma tenuto conto delle polemiche riguardanti la guerra in Vietnam da poco conclusa, e l'insperato successo di "Paranoid" come singolo, la casa discografica scelse di cambiare il nome del disco in favore di quest'ultimo. Nel complesso l'album riapre il discorso iniziato col suo predecessore: sempre tonalità cupe, sempre hard rock nero, ma il sound tutto sommato si fa ancora più heavy, e, si potrebbe dire, più statico, con meno spazio all'improvisazione e alle divagazioni blues e jazz. Si sviluppa soprattutto la linea intrapresa a partire da "Black Sabbath" (il brano).

"War Pigs" è un immortale classico, con un riff indimenticabile, un passaggio che ricorda molto "Good Times Bad Times" dei Led Zeppelin (forse un gesto di apprezzamento dei Black Sabbath nei confronti della grande band di Jimmy Page), un assolo incredibile e un ender supersonico. La lyric è un disperato grido contro la guerra urlato nel particolarissimo stile dei Sabbath.

"Paranoid" pur non essendo, come ho già detto, la miglior canzone dei Black Sabbath, è forse il pezzo più conosciuto dagli ascoltatori di metal di tutto il mondo.

"Planet Caravan" è un lento spaziale e cosmico, il primo di una lunga serie di lenti di matrice Black Sabbath che, nel loro eclettismo, spesso si lanciavano in multiformi sperimentazioni.

E' poi la volta del classicissimo "Iron Man", forse il pezzo più hard in assoluto. L'intro con la grancassa, la chitarra distorta e la voce robotica ("I am iron man!") sono ormai uno degli episodi più celebri nel genere, e il solido riff chiave è famosissimo. Il brano si occupa di fantascienza (nera, ovviamente), tema caro a Butler, che poteva scrivere con eguale efficacia testi d'occulto e di attualità.

La quinta traccia, "Electric Funeral", possiede un fascino oscuro e inquietante, nella ripetitività del suo riff "vomitato" con un terrificante wao-wao dalla chitarra di Iommi, nonostante si tratti di un pezzo di semplicità estrema. Qui il nostro Geezer dipinge a tinte fosche un quadro apocalittico raffigurante la fine del mondo, miscelando elementi biblici (il Giorno del Giudizio) con altri tratti ancora una volta dalla fantascienza. Da notare inoltre che il tema della super-tecnologia che prende il sopravvento sull'uomo ritornerà spesso nei Black Sabbath del futuro (vedere "Computer God", "Dehumanizer", 1992), e sarà affrontato da molte altre band, primi tra tutti i Blue Oyster Cult.

"Hand Of Doom" riprende il discorso sull'uso e abuso di droghe, ma contiene anche nuovi riferimenti al Vietnam, e una critica taciuta (ma non troppo) sugli effetti devastanti dell'esperienza della guerra sulla mente dell'uomo. Strumentalmente il brano si presenta ben strutturato e articolato, con riff montagnosi alternati a sinuosi e ovattati giri di basso, con continui cambi di tempo, prima lento poi veloce, e via dicendo.

"Rat Salad" è uno strumentale contenente una jam session di Bill Ward, che ci regala un bel saggio della sua perizia strumentale (molta), senza però strafare come Iommi in "The Warning", per cui il brano risulta molto gradevole.

L'album si chiude con "Fairies Wear Boots", brano molto brioso e rockeggiante, in cui si parla nuovamente di droga e allucinazioni della realtà. Sembra però che le "fate" citate nel brano vogliano cripticamente riferirsi ai naziskin, con cui la band aveva avuto spesso motivo di scontrarsi.

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