Vi racconto una storiella da due righe.

Quando ero piccolo e mi affascinavano le cantine e le soffitte (come del resto il 99,99% dei bambini...), una di quelle tante volte che mi trovavo a rimestare in scatoloni coperti dalla polvere, sotto ad una mole incredibile di fumetti della Marvel e della D.C. Comics di proprietà di mio zio, ci trovai diversi 33 giri, tra cui, meraviglia delle meraviglie, anche uno con la copertina nera e uno strano omino vestito come una specie di astronauta a brandire una spada che a me, appassionato di certi generi di film, sembrava quella di Sandokan. Serve proprio che vi dica quale era il disco che mi trovai tra le mani?
Non credo, ma vi basti sapere che il mio primo contatto con il mondo del Rock e del Metal, lo ebbi proprio a sei anni, in quella scura e paurosa cantina che ai miei occhi sembrava chissà quale recondito recesso.

Mio zio, che tanta pazienza aveva nel tenermi a bada (e nemmeno mai incatenandomi al termosifone di casa per farmi stare fermo), dopo che io gli ruppi i timpani chiededogli e richiedendogli di quel mefistofelico e malefico disco, si decise a farmelo ascoltare, e, messe le mani su un vecchio giradischi da anni sessanta, mi fece ascoltare una canzone a caso: "Iron Man".
Da allora, quel giro di chitarra inconfondibile, quelle dannate parole che a me sembravano uscite da chissà quale universo a me sconosciuto, mi si stamparono a fuoco in testa, e le serbo ancora con me, amplificate e connesse sempre a quanto mi piace ascoltare, ricollegando poi i dischi che mi vengono davanti, sempre e comunque a "Paranoid" (parlo dell'album naturalmente).

Adesso che i dischi dei Black Sabbath li posseggo tutti e non li conservo come quell'iconoclasta di mio zio negli scatoloni in cantina, a ripensarci a queste cose mi vien quasi da ridere, ma poi, avendo scoperto l'immensa e pervadente influenza che i Sabbath hanno avuto sulla totalità di band Heavy Metal che sono di mio gusto, vien da pensare che non sono stato io il solo, né io il primo a osannarli e santificarli.
E la storia stessa di un certo qual genere musicale ne è testimone: praticamente non c'è band Che suonasse Rock, al mondo, che non abbia rifatto almeno una canzone della band di Birmingham; praticamente non ne esiste nessuna che non si sia dilettata a suonarne almeno due accordi, magari in jam-session, magari anche distrattamente. E se questo significa qualcosa, anche chi ne è fautore ne è rappresentante.

Non occorre che spieghi dunque la storia di questa band che diventò famosa ben 36 anni fa (anche perché non mi onoro di certo di possederne le capacità) con due capisaldi di un certo Hard Rock tinto di psichedelia e di atmosfere malate, tanto, sicuramente, l'avrete sentita, letta, narrata, e urlata voi stessi ai quattro venti "da" e "a" chiunque mastichi almeno un poco, un minuscolo pezzetto di Rock'n'Roll.
Occorre però dire che, per quanto mi riguarda, i Black Sabbath sono sempre stati un totem, una guida, uno strumento necessario per scavare nei solchi e in tutte le introspezioni sonore delle band che oggi ascolto, nello specifico, soprattutto concernendo quelli dell'era "Ozzy". Certo, nemmeno Tony Martin o Ronnie James Dio se la cavavano male (ma quì mi sa che sto bestemmiando quindi taglio corto), ma sapete, i Sabbath con Ozzy erano proprio qualcosa di trascendentale e di inesprimibile.

Milioni di fans in tutto il mondo allora, quando uscì questo doppio cd live (con in più due canzoni suonate in studio dalla band al completo), non riuscivano a credere ai proprio occhi e alle proprie orecchie. Tanta fu la sopresa, e tanta l'emozione per tanti che, giusto per dirne una, quando corsi dal mio negozio di cd per comprarlo, il gestore allargò le braccia sconsolato, dicendomi che solo nella giornata in cui io mi trovavo, ne aveva vendute 30 copie e aveva esaurito il cd.
Altro discorso furono le mie bestemmie in cirillico ed aramaico, tante da convincere il povero uomo dietro al bancone a fare arrivare un corriere espresso per il giorno dopo con altre 50 copie, che, naturalmente, si esaurirono nemmeno per il tempo necessario e metterne esposta una in vetrina.
E a ragione, direi: in questo doppio album dal vivo, infatti, sono racchiuse tutte le canzoni più blasonate, quelle più famose, quelle che insomma hanno fatto la storia dei Black Sabbath e dell'Hard Rock - Heavy Metal poi.

"War Pigs" accolta da un rombo di grida da parte del pubblico, con il suo (purtroppo) attualissimo tema centrale, e poi (scusate se ne salto qualcuna, ma è giusto per rendere l'idea) "N. I. B.", il classico dei classici, eseguito in un clima che dire da trionfo sarebbe riduttivo, con quella sua linea di basso inimitabile ed inconfondibile, e la voce di Ozzy che ad ogni piè sospinto urla "O Yeah!", quasi fosse un rito collettivo, una maledizione che riesce ad intrappolare dopo che, perlomeno, un milione di volte è stata pronunciata.
Ma c'è n'è per tutti i gusti e per tutti in questo lavoro che, pur confezionato, si capisce, per intascare una montagna di sterline (come se già i Sabbath non ne avessero a loro disposizione), riesce sempre e comunque ad emozionare, ed usando i sani e genuini ingredienti che fanno grande il Rock: passione, sudore, amplificatori, chitarra, basso, batteria e una voce che, sì sono d'accordo, non è più quella di venti o trenta anni fà, non è più quella calda e particolare con la tipicissima inflessione "sudista" che arringava le platee di tutto il mondo, ma che è e rimane, tanto per essere chiari, la base e la fonte, non scordiamocelo mai, per tutto quanto è stato suonato, pensato, arricchito, svenduto o rivalorizzato in musica negli anni a venire.

Ozzy è sempre il solito mattacchione (magari un pò rincoglionito, ma si sà, "il lupo perde il pelo ma non il vizio") e coglie sempre occasione per mostrarsi come l'animale da palcoscenico che è: arringa, si muove da parte a parte del palco come se fosse invasato (magari un pò catatonicamente, ma basta il pensiero del resto...), grida, urla, innesta decine di volte i suoi famosissimi "Fucking", e tiene alta l'atmosfera con i suoi botta e risposta col pubblico. Certo, gioca in casa, visto che il Live è stato registrato a Birmingham, ma la passione e il coinvolgimento delle persone lì accorse si sentono che sono autentici, e tra queste persone, si riesce ad immaginare di scorgere il signore un pò attempato con la pancia e la barba, e l'adolescente con la maglietta dei Megadeth nelle prime file.
Ma i Sabbath non sono solo Ozzy, semmai, è lo stesso Ozzy a farcelo capire, presentando di volta in volta i suoi compagni di una vita: Geezer Butler al basso, Bill Ward alla batteria, e Toni Iommi alla chitarra, questo, sicuramente con i suoi baffi demodè e il suo fare calmo e posato, anche se poi dalle sue dita scaturiscono i riff che fanno sognare, quelli che non si dimenticano mai e mai nessuno penserà mai di mettere da parte.

Un discorso a parte poi meritano le due canzoni in studio registrate a Los Angeles: non sono niente di memorabile, né di particolare, ma diavolo! Ci pensereste che dietro agli strumenti e ai microfoni di questi due brani ci sono dei figuri che hanno cambiato la storia della musica?
Dico, logicamente, nulla di ché, essenzialmente perché il termine di paragone che "Selling my Soul" e "Psyco Man", appunto, devono sottendere è con pilastri di genere che non hanno temuto confronti per tutti questi anni, figurarsi poi per quelli a venire.

E dunque, se potete, e volete emozionarvi nuovamente, in memoria di qualche vecchio sputo di ricordo, anche insignificante, compratevi il Live, oppure, meglio ancora, trovatevi l'intera discografia dei Sabbath. Ne vale davvero la pena.

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