I Black Sabbath sono una band di non poco conto nell'evoluzione dell'hard rock verso il metal, lo ammetto anche io sebbene il loro stile, dal punto di vista prettamente musicale, non sempre mi abbia soddisfatto appieno. Di fatto, i granitici riff del menomato chitarrista Tony Iommi e la vocetta stridula di Ozzy Osbourne, assieme ovviamente alla sezione ritmica Geezer Butler & Bill Ward, hanno dato un bello scossone alla scena rock anni '70, introducendo le più basilari coordinate del metal sound e cominciando a dare un abbozzo a quello che poi sarà definito doom. Dopo i primi tre album, Black Sabbath, Paranoid e Master of Reality, i migliori dell'era di Ozzy, la proposta musicale del Sabba Nero comincia a saturarsi: di conseguenza Iommi, affascinato dalle sonorità prog tanto in voga al tempo (aveva militato per un breve perioso nei Jethro Tull), decide di inserire elementi più avanguardistici nello stile del gruppo. Il risultato è Black Sabbath Vol 4, il simbolo della prima svolta, che però a mio avviso ha più difetti che pregi.
Se c'è un termine che può descrivere questo disco, è "discontinuo": le due tipologie di brani presenti, ovvero le classiche Sabbath-songs e quelle un attimo più avanguardistiche, fanno molta fatica ad integrarsi fra di loro, creando una forte spaccatura nella compattezza del disco stesso. Altro punto molto, molto dolente, è che le sperimentazioni che Iommi ha deciso di proporre sono assolutamente incomplete e confuse, degli aborti musicali lasciati a metà e che non mi hanno affatto convinto: che dire della ballata pianistica "Changes", con quelle melodie ingenue e la voce di Ozzy inutilmente supportata da un eco sintetizzato? O la brevissima "FX", brano rumoristico di cui devo ancora capire il senso? O ancora l'acustica "Laguna Sunrise", così sciupata e monotona, lontanissima dalla minimale perfezione di "Orchid" ed "Embryo", da Master of Reality? L'impressione generale è quella di un'accozzaglia di idee mal sviluppate, lasciate solo in potenza, che non vanno oltre la dimensione del riempitivo. D'altro canto, anche le canzoni "classiche" non brillano affatto: in particolare mi chiedo come orde di fan possano considerare un capolavoro "Snowblind", che non solo non va oltre di quando il gruppo abbia già fatto in passato, ma, assieme a "Tomorrow's Dream", "Supernaut" e "Cornucopia", rappresenta l'apice della crisi stilistica dei Sabbath, che non sanno più cosa proporre al pubblico ormai sempre più teso verso gli avanguardismi dell' art-rock.
Il successivo album, Sabbath Bloody Sabbath, mostrerà una maggior padronanza dei mezzi e soprattutto un conubbio, finalmente convincente, tra hard sulfureo ed atmosfere progressive. Vol 4 rimane invece un disco di transizione, che non dice nulla di nuovo e allo stesso tempo ribadisce malamente quanto di fatto fino a quel momento, troppo spesso sopravvalutato e considerato alla stregua di masterpiece.
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