"Kentucky" è il quinto album degli americanissimi Black Stone Cherry, pubblicato l'1 Aprile per l'etichetta discografica Mascot. E anche in questa recensione la premessa è d'obbligo. Dopo i primi due dischi (e se mi è permesso dirlo che gran due dischi) nel 2011 con la pubblicazione di "Between The Devil And The Deep Blue Sea" il gruppo ha cambiato immagine e suono, abbandonando i capelli lunghi, le Les Paul e lo stile Southern Rock per abbracciare le Paul Red Smith (e avrei già detto tutto) dando al nuovo album, e anche al successivo "Magic Mountain" un suono molto più aggressivo, molto più Hard Rock. Diciamocelo, non che prima facessero del Southern Rock tranquillo, ma qualcosa nel gruppo era cambiato. Due album che non hanno molto convinto il sottoscritto sinceramente ma neanche da farmeli buttare nel cestino, assolitamente nuovo. Con il nuovo album con un titolo che era tutto un programma (se "Kentucky" non è un titolo da album Southern Rock sparatemi) la mia curiosità si è riaccesa. Ho aspettato un po' prima di scrivere questa recensione per due motivi: il primo perchè il disco ci ha messo un sacco di tempo ad arrivare e secondo perchè me lo volevo ascoltare per bene per dare una visione che vada oltre i primi due o tre ascolti.
Sono "tornati" a fare Southern Rock? Direi di no, ma hanno compiuto un bel passo avanti rispetto agli ultimi due album. Questo è un disco fatto di riff pieni di distorsioni, ritornelli orecchiabili, ottimi assoli e una voce che, signori, è una gran voce. Veramente, Chris Robertson ci sa fare alla grande.
Il disco si apre con "The Way Of The Future", un pezzo nettamente alla Black Stone Cherry che ok ha "deluso le mie aspettative" nel loro ritorno (o approdo definitivo) al Souther Rock ma è comunque un gran bel pezzo. Si prosegue con "In Our Dreams" e qui ho avuto paura. E' stato il primo singolo del disco e mi sentirei di dire che hanno abbastanza toppato nella scelta. "In Our Dreams" è a mio avviso il pezzo più brutto di tutto l'album soprattutto a causa del ritornello, decisamente troppo lungo e con un "Please Help Me" in mezzo che risulta essere alquanto fastidioso. Lo spavento passa subito però con una "Shackin' My Cage" con un gran ritornello che ricorda molto il loro secondo album. "Soul Machine" è il pezzo che mi ha fatto tornare indietro di due album. Questi sono i Black Stone Cherry che amo! Grande potenza, grandi riff e un tocco di Southern Rock che da grande originilità al gruppo. La doppietta si completa con "Long Ride", il pezzo migliore del disco. Si sa che i BSC a fare le ballad sono bravissimi ma qui mi sento di dire che hanno completato l'opera. Una canzone che molto si presta alle radio ma che nel suo insieme è veramente un gran pezzo. "War" è una novità per il gruppo con l'aiuto di fiati e cori tipici dell'america del Sud (presenti anche in Soul Machine") e mi sento di dire che come esperimento ci hanno decisamente preso. Da qui in giù di va in discesa, con brani potenti che passano tranquillamente e soprattutto non stancano. Un mezione speciale mi sento di dedicarla a "Cheaper To Drink Alone", un pezzo che si presta benissimo alle esibizioni live, "Rescue Me" senza quell'intro gospel però per Dio e "Feelin' Fuzzy" con un gran ritornello che entra facilmente in testa. Si chiude con "The Rambler", un ballad voce e chitarra acustica che mette in risalto la grande voce di Chris.
Un bel disco senza ombra di dubbio, ma che, sempre a mio avviso, non è ai livelli dei loro primi due album, Un unica pecca la vedo nel fatto che gli ultimi tre album si assomigliano troppo (anche se questo batte gli altri due e di molto anche) e che quindi la band non riesce, o magari non vuole, sperimentare più di tanto nuove rotte. Si perchè io sono uno che apprezza le band che sperimentano nuovi tipi di suoni, l'importante è che lo facciano bene :P
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