Nutro una profonda e irriducibile allergia nei confronti di tutto, o quasi, quello che musicalmente appartiene a questa prima decade del nuovo millennio. Mi fanno venire il voltastomaco quei figliocci fotogenici di certo post-punk, mi fanno ridere a crepapelle i nuovi interpreti del metalcore, considero volgarissimi tutti quei gruppetti indie-lo fi che sembrano eccitare morbosamente certi rumoristi, mucchisti o come dir si voglia. Trovo di una volgarità sconcertante i nuovi eroi dell'alternative italiano (immaginate un pò di chi sto parlando) ed evito accuratamente di esprimermi sulla scena mainstream, per evitare censure o "ban" spietati.

Eppure, sforzandomi all'inverosimile e mantenendo una puzza sotto il naso senza precedenti, sono riuscito a trovare delle formazioni sufficientemente interessanti. Sono eccezioni più uniche che rare e, almeno per il momento, sembrano essere destinate a rimanere tali.

Parliamo, allora, dei Blank Dogs: one man band votata al tetro sound dei primi anni '80 senza per questo ammorbarci come altri, purtroppo, sanno ben fare.

Il progetto si presenta piuttosto "ermetico" e questo aspetto, in anni di forsennato fragore mediatico e virtuale, è un piccolo punto a suo favore.

Ma, nello specifico, a favore di chi? L'anima di Blank Dogs è tale Mike Sniper, musicista garage-rock statunitense con un debole per le cupe e dimesse atmosfere di inizio eighties.

Quello da me recensito, in realtà, è un semplice 12" EP e non un vero e proprio disco. Eppure, nonostante la brevità del platter, riesco a scorgere ottimi intenti oltre ad un lodevole tentativo di reinterpretazione di sonorità a me tanto care.

Joy Division, primi Cure e Bauhaus (ma forse sto delirando) sembrano essere le inquietanti muse ispiratrici del signor Sniper. Non meno importante è l'influenza "synth pop" ereditata dai maestri New Order e da talune misconosciute formazioni della scena "minimal wave" (mi sono venuti in mente i già recensiti Solid Space).

Aggiungete una produzione sufficientemente "lo-fi", nonostante le critiche precedentemente mosse contro gli eroi di questo approccio, ed otterrette un quadretto piuttosto completo.

Sei canzoni, pregne di spettrale fatalismo e di ipnotico incedere wave. Tracce degne di nota? Certamente "Leaving The Light On", "Water Into Ice" e "Planets".

Dopo questo "Diana", il signorino mascherato ha pubblicato altro e apprezzabile materiale. Una recensione di "Under And Under", presente su questo sito, testimonia un certo interesse per il progetto in questione. La cosa, ovviamente, mi rende abbastanza felice.

Che dire d'altro? Una via intelligente e personale al sempre più inflazionato revival della New Wave.

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