Musica in fieri ed attuale come ogni release che per puntare avanti fa spinta dietro. È ispida l’uscita (Learn To Love The Rope EP / 2009) per il combo californiano Blessure Grave, coppia di fidanzati dediti alle arsure di un death rock multilingue e coraggioso che, se ben scandagliato, rende l’idea di quanta musica che fu ci sia finita dentro. La coppia si presenta in copertina alla vecchia maniera per colori da decomposizione, foto centrale ansiogena e carattere bastoni delle scritte (in alto e in basso) a ricordare, ad esempio, alcuni lavori di Death In June e The Jesus And Mary Chain. Sulla foto qualcosa da dire in più c’è: complessivamente sembrano due isolati universitari abbastanza standardizzati, ex metallari, delusi punk, ora asfittici e mortuari death rockers old style. Promettono bene sia lei, che pare una musa trista e scoraggiata, sia lui, con il viso ectoplasmatico da membro di una malvagia youngster killer gang. Estetica da coppia probabile solo in questi casi, che a sorpresa dimostrerà di avere i piedi ben piantati sottoterra per tutte e cinque le tracce di questo lavoro.

Le atmosfere distaccate, meccaniche e low-fi che macchiano di peccato questo EP sembrano il discorso di una coscienza che vuole avere la rivalsa sul suo proprietario, rinfacciando una vita di frustrazioni. Algida e marziale, la chitarra noir western da vicolo cieco metropolitano (meglio ancora se considerate metropoli la calca neuronale di un cervello) accorda stonature claudicanti e significative a tutti i brani, a volte scegliendo melodie classiche, mentre in altri casi mantiene vive le retrospettive affidandosi a nuovi riff lineari e sofferti come il percorso di una larva all’interno dei condotti da lei stessa creati in un cadavere.

L’incedere meccanico di ogni brano è marchiato da una drum machine che ha l’effetto di una batteria reale suonata con ossa secche d’avambraccio in luogo delle consone bacchette. A volte sfumano nel nulla afflati synth che sanno di una vita che si spegne. È abbastanza tragico e acceso di morte il quadretto complessivo in cui alla fine si scoprirà che la lei di turno è più un vezzo, una compagna in questo viaggio senza speranze. Sembra di vivere una camminata disperata lungo il miglio verde, forse proprio per questo la release è vitalizzata da una impercettibile anima popolare. Lei sovrappone la sua voce a quella di lui. Un lui che ci sa fare. Le volte gotiche che è in grado d’ingegnare non rispondono ai crismi del gothic rock da manuale, ma sembra vogliano aderire al gruppo di band dalla classificazione mai esplicitata chiaramente. Suoni e voce maschile (davvero una prova da celebrazione di funerale) sono infatti immediatamente collocabili gli uni nella nicchia in cui stavano i Play Dead, con la loro fornace anni ’80, mai doma e mai realmente piegata alla definizione goth; l’altra nella ricercatezza priva di infiltrazioni di Ian Curtis in pieno fervore Joy Division. Ecco, la musica dei Blessure Grave sembra proprio una distorsione raw dei Joy Division, arricchita da alcune facezie di maniera: trolleschi rimandi apocalittici, barocche doppie voci  e quant’altro. Ma non dimenticate l’arsura, l’idea di una superficie su cui non potrebbe crescere nulla se non che tanta angoscia.

Da tenere sotto controllo, il full lenght potrebbe rivelarsi una chicca.

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