'A Twist In The Myth'. Oggi I Blind Guardian sono questo.

Gli anni di Imaginations e Nightfall sono andati oramai. Ma non c’è da stupirsi, i Bardi sono sulle scena Metal non certo da ieri, e il calo artistico è fisiologico per ogni artista, e i Blind ne sono coscienti. Ora dunque la domanda è “Come stanno invecchiando Hansi e soci ?” In maniera dignitosa o meno? Tentiamo di scoprirlo.

Dopo la dipartita del glorioso Stauch e l’arrivo dietro le pelli di Ehmke tutti noi abbiamo temuto il peggio. Abbiamo temuto che i Blind non sarebbero più stati quelli di una volta. “Squadra che vince non si cambia”, si dice in questi casi. Il problema è che con ANATO i Bardi non avevano propriamente vinto. Il disco aveva un potenziale ottimo, ma una produzione non all’altezza che ne minava la qualità finale. Forse allora non tutti i mali vengono per nuocere. Con questo ATITM i nostri provano il colpaccio. Colpaccio che, avverto da subito, non è riuscito. Abbandonato lo stile pomposo, barocco e orchestrale del disco precedente, questa nuova relase punta sull’immediatezza, sfiorando in certi momenti l’hard rock.

L’incipit è dei migliori: il disco si apre con “This Will Never End”, ed ecco che il riff iniziale, potente e tagliente, si stampa subito in mente. Ma dopo pochi secondi si palesa il vero punto debole dell’album: Hansi. Ebbene si, Hansi in questo disco canta in maniera, personalmente, poco presentabile. Dove è la carica, il pathos, l’unicità del timbro vocale a cui ci aveva abituati? Un lontano ricordo ormai. Ecco dunque che a risentirne è proprio la melodia delle tracce stesse, che non colpiscono l’ascoltatore come dovrebbero. Tracce si ottimamente suonate e tecnicamente ineccepibili, ma a volte prive di mordente. Come non notare che il refrain (non certo indimenticabile) della già citata prima canzone è dannatamente simile a quello della seconda, “Otherland“, per esempio? O che Lionheart parte con un intro da brividi per poi sfociare in una nenia decisamente evitabile? “Carry the Blessed Home”, poi, ballata atipica per i tedeschi, pur non essendo un esperimento del tutto fallito, non rappresenta comunque un capitolo particolarmente originale: è una ballad piuttosto stereotipata, e puzza di già sentito. E’ da gettare nella spazzatura dunque il disco? Direi di No.

In primis non dimentichiamoci di “Fly”, traccia sperimentale che personalmente reputo ben riuscita, in cui la voce di Hansi questa volta ben si amalgama con il resto del gruppo, e con quel solo nella parte centrale che si lascia ascoltare con piacere, incastonato nella struttura vagamente prog-metal della canzone. “Turn the Page”, forse la migliore del lotto, che richiama alla mente la folkeggiante “Mirror Mirror”, un piccolo capolavoro di stampa Guardian. “Another Stranger Me” (prossimo singolo) , è la più hard, con un refrain finalmente convincente. Senza dimenticare “Straight Throught the Mirror” (e basta con sti specchi!), epica e potente e la medievale “Skalds And Shadows” , che si riallaccia direttamente alla leggendaria “the Bard’s Song”, che farà la felicità dei fans di vecchia data. Evitabile “the Edge”, buona invece “the New Order, che chiude dignitosamente un disco tutto sommato discreto (certo non imperdibile).

Capitolo, questo “A Twist in the Myth”, che ho la sensazione verrà apprezzato maggiormente dai “ on fans”, che dai fans più ortodossi e poco inclini alle novità e ai cambi di stile… certo è impossibile non notare il desiderio costante dei Bardi di tentare di rinnovarsi disco dopo disco, non rischiando di cadere in clichè poco simpatici e interessanti, e di questo ne va dato atto ai tedeschi, indipendentemente poi dal risultato finale, che ripeto merita qualche ascolto ma non è certo imprescindibile… a buon intenditor…

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