Premessa

Wow.

Basterebbe questa parolina di tre lettere, ma penso che non mi guadagnerei la mia immaginaria pagnotta con così poco (e mi caccierebbero pure da DeBaser)

Diciamo subito che io sono un grande estimatore dei Bardi di Krefeld. Grande estimatore per non dire fanboy (del resto se c'è un gruppo per cui la mia vena fanboystica pulserebbe, quello sarebbe senz'altro i Blind Guardian assieme ad altri pochi fortunelli) quindi abbiate pietà se questa recensione sarà troppo soggettiva (e oltremodo prolissa)...

Nelle Puntate Precedenti

I Guardian ci hanno deliziato, sul finire degli anni '90, con quelli che sono con ogni probabilità i capolavori assoluti della loro discografia, vale a dire: Imaginations from the Other Side e il concept Silmarillioniano Nightfall in Middle-Earth.

Ambedue, oltre all'indiscutibile tecnica e originalità musicale (specie in quel Power Metal che da qualche anno a questa parte replica se stesso in mille modi tutti uguali, fermo restando che si tratta di una definizione che ai Bardi sta pur sempre stretta - così come qualsiasi altra) erano caratterizzati (per la gioia di tolkeniani accaniti e non solo) da quel "fantasy" che sa di Epica e Mito, filosofia, letteratura e dall'ormai consueta matrice power/speed (quest'ultimo, caratteristico ai tempi degli esordi, ormai sempre più perso per strada) miscelati in un'invidiabile espressione artistica quanto mai varia ed eclettica

Ai due capolavori seguono rispettivamente l'intrigante, ma controverso e forse un po' pretenzioso A Night at the Opera (ultimo disco dei Blind Guardian marchiato Virgin Records prima del passaggio alla Nuclear Blast) e il bello (ma forse a tratti un po' scialbo) A Twist in the Myth.

4 Years Later

In questi ultimi anni i Blind Guardian hanno dato un assaggio di quello che stava bollendo in pentola con Sacred, canzone scritta per l'omonimo videogame e riproposta anche nel nuovo lavoro in una riealborata sciccosissima veste (Sacred Worlds, appunto). Ed è proprio con quest'ultima traccia che inizia il nostro viaggio al margine del tempo:

9 minuti, una potentissima orchestra amalgamata ad una canzone già sentita ma che solo ora si può apprezzare in tutta la sua piena maturità...un indizio importante per capire quello che ci dobbiamo aspettare da At the Edge of Time

Tanelorn ci porta nella dimensione più caratteristica e consona al gruppo teutonico: Hansi tira fuori urla che riportano alle radici della band, e la canzone in se è una degna erede di quella mentalità "speed" che comunque, per forza di cose, resta materiale d'altri tempi e che quindi è stata resa in modo simile eppur dissimile dal repertorio storico della band.

Road of no Release sarebbe un altro (ottimo) pezzo in puro stile Guardian, se non fosse per quel particolare (positivamente) anomalo caratterizzato dal piano, colonna portante della melodia della traccia e protagonista assoluto del suo epilogo, sfociante in quella meraviglia che è Ride into Obsession, un pezzo che rimanda sempre al vecchio speed delle origini e si scopre piuttosto thrashoso, pur con un approccio tutto particolare che rende rende la canzone una delle più coinvolgenti del disco anche già dopo il primo ascolto, standig ovation dovuta per i riff di Andrè e Marcus in questo senso

Dopo questa velocissima ed entusiasmante cavalcata ritorniamo ad un altro dei marchi di fabbrica dei Guardian: le magiche ballad con quel sapore un po' celtico che hanno contribuito non poco al successo del gruppo: è così in Curse my Name appare l'ennesima inevitabile incarnazione dello spirito di The Bard Song, A Past and a Future Secret, Harvest of Sorrow, Skalds and Shadows e via dicendo, e il risultato è, manco a dirlo, stupendamente evocativo

Valkyries invece è un po' il prosieguo naturale del percorso creativo che i Bardi hanno intrapreso da una decina d'anni a questa parte, canzone che sa di un progressive rock molto heavy e solenne (e che di "metal" in effetti ha forse ben poco, specie se confrontata con il resto dell'album - ballad d'ordinanza esclusa), sempre su questa linea anche la seppur più cattiva e corale Control the Devine, portata avanti da un main-riff eccezionale e da una chitarra acustica alquanto esotica nel finale, giusta premessa a War of the Thrones:

Ritorna in pompa magna il pianoforte, seguito da una fantastica prova vocale di Hansi Kursch e un'orchestra magistrale che trascinano una canzone che forse, ad un primo ascolto, può darci quelle sensazioni già descritte sopra parlando di Curse my Name...ma dopo un'analisi più attenta si scopre una composizione del tutto atipica, quasi un pezzo di una OST di qualche geniale compositore unita ad una delle voci più particolari della scena metal mondiale

A tratti forse più "amorevolmente scontata" invece A Voice in the Dark, primo singolo estratto dal CD (escludendo la "base" di Sacred Worlds come accennato precedentemente) canzone riuscitissima sul profilo tecnico e una delle prove vocali di Hansi che più rimandano alla vecchia scuola.... anche se, forse per via della sua posizione nella tracklist (è tra due "colleghe" davvero eccezionali) non mi sento di definire del tutto all'altezza di poter rappresentare questo grandissimo At the Edge of Time (ma del resto era l'unica scelta papabile per il ruolo di singolo, assieme a pochissime altre)

Siamo alla fine: si è capito già come la penso riguardo ai Blind Guardian e quest'album in particolare, quindi non ci giro tanto intorno: Wheel of Time è a mio parere il lavoro più bello della band dai tempi di Nightfall in Middle-Earth. Composizione in origine prettamente orchestrale, questa canzone è un po' come il summa di tutto: c'è Bright Eyes, c'è Battlefield, c'è The Bard Song, The Curse of Feanor....eppure è tutto nuovo, inedito, mai sentito prima. E, come tutto il disco, è qualcosa di bellissimo

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