Dieci anni per lasciare traccia tangibile di sé... un attimo per cadere inesorabilmente nel vortice del dimenticatoio...
La storia dei Blind Illusion è sicuramente una delle più complicate e pertanto più affascinanti storie che si possano conoscere in ambito rock. Sono additate essere una leggendaria band progressive thrash-metal della Bay Area di San Francisco, sebbene al momento della formazione datata 1978 per mano del chitarrista e singer Mark Beidermann l'identità musicale fosse solamente progressive rock-oriented.
La prima cosa sconvolgente è la line up con la quale i Blind Illusion arrivarono alla registrazione del loro primo full-lenght per la Combat Records nel 1988, dopo aver registrato in precedenza solo demos: Beidermann alla chitarra e alla voce (poi accreditato al basso negli Heathen di "Victim of Deception"e alla chitarra nei Blue Oyster Cult di "Imaginos"), Les Claypool e Larry Lalonde (ex Possessed) rispettivamente al basso e alla chitarra (entrambi dall'anno successivo a cercar fortuna e a trovarla nei Primus), e a completare l'eccezionale formazione Mike Miner alla batteria.
La seconda cosa sconvolgente o inquietante è che alcuni pezzi presenti nel platter che affondano chiaramente le loro radici nel thrash più diretto, sempre conservando a volte un'anima molto seventies in alcuni loro spunti compositivi - il che li rende a dir poco geniali - è probabile siano stati composti diversi anni prima della registrazione del platter, quando propriamente di thrash si sapeva poco e niente e pertanto potremmo dire che i Blind Illusion per alcuni versi potrebbero essere stati tra i primi gruppi della Bay Area a sperimentare questa nuova esplosiva miscela musicale.
Cosa che è già evidente dai suoni del secondo demo datato 1985 "Trilogy Of Terror", con l'entrata nel gruppo di elementi del calibro di David Godfrey alla voce (poi negli Heathen), Pat Woods alla chitarra, Geno Side al basso e Mike Miner alle drums, con i quali la proposta dei Blind Illusion vira verso un sound molto simile a quello degli Angel Witch ma molto più rozzo, e diventa sempre più significativa nel terzo demo del 1986 "Blood Shower" in cui la svolta thrash è completa. Ovviamente nel frattempo la lineup, tra continue esibizioni live molto seguite ed apprezzate, subisce tanti cambiamenti - se ne contano di 15 di avvicendamenti nel corso dei dieci anni di attività on stage della band - fino ad arrivare al quadrato magico sopra descritto con il quale Beidermann e soci possono finalmente registrare per la Combat Records questo prezioso ed introvabile frammento di perfezione senza tempo.
La bellezza di "The Sane Asylum" è che è un album di thrash metal senza esserlo davvero.
Il taglio di alcuni spunti che affondano in una chiara matrice prog seventiana e nel filone della NWOBHM e che accompagnano riff granitici e tirati e ritmiche decise e granitiche, a far da cornice ad assoli al fulmicotone, taglienti e assassini, contribuisce a creare atmosfere oscure e nostalgiche, quasi acustiche a volte. La sua grandezza è che non cade mai nei cliché compositivi del thrash, sin dall'inizio preservando una propria identità precisa e originalissima, e ciò perché le parti di basso sono sempre roboanti e corpose (su tutte "Smash The Crystal") - l'esempio più chiarificatore potrebbe essere il lavoro di DiGiorgio su "Individual Thought Patterns" dei Death - le chitarre oscillano costantemente tra il minimalismo grezzo ("Vicious Visions") e l'impatto devastante proprio del genere ("Vengeance Is Mine", vera mazzata sulle gengive), ora attaccando senza pietà ora cullando dolcemente, tra rasoiate insolenti ("Blood Shower") e rarefatte lande sognanti squarciate da tuoni ("Kamikazi" e la sfaccettata e multicolore "Metamorphosis Of A Monster"), sorrette da un buon lavoro di batteria deciso e puntuale, mai fuori posto.
L'impressione è che dietro queste scelte sonore non ci sia nulla lasciato al caso o alla furia compositiva propria della maggior parte dei thrashers della Bay Area dell'epoca, ma che l'aggressione abbia un che di follemente premeditato. Un esempio su tutti è "Death Noise": una intro strumentale molto orientaleggiante dopo la quale siamo proiettati in un inquietante arabesco di suoni dilatati e sinistri per poi essere nuovamente travolti da una sfuriata thrash. Una sorta di anti-climax che è dannatamente accattivante.
La devastante amalgama dei quattro contribuisce poi a render ancor più fascinoso il presente capolavoro, forse ostico al primo ascolto per i puristi del thrash ma sicuramente una tela di sicuro impatto cromatico, fluttuante tra aggressione e sogno, che ben poco lascia all'illusione, rapendo, trascinando nel suo originale vortice senza tempo.
See Ya!
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