I Bloc Party escono di nuovo allo scoperto, e lo fanno dopo un solo anno di silenzio discografico.
Ripartono da 'A Weekend in The City' che non aveva sconvolto più di tanto critica e pubblico: ma diciamola tutta, se il debutto è della portata devastante di 'Silent Alarm', ripetersi facendo addirittura meglio è impresa assai difficile.
Ignorando il marketing musicale DIETRO 'Intimacy', meglio scoprire piuttosto cosa c'è DENTRO.
Appare fin da subito chiaro che il solco è tracciato dall'uso spericolato dell'elettronica: quella dannatamente danzereccia (Chemical Brothers), quella più malinconicamente riflessiva (Radiohead).
Il paragone coi due mostri sacri non deve portare ad una similitudine forzata, ma è utile a mettere a fuoco lo scopo musicale di 'Intimacy': unire il rock e l'elettronica; detta così sembra semplice ma è invero un' impresa alta, lì dove, tale mistura è riuscita appieno solo a pochi fortunati come i giganti di cui sopra.
A ben vedere il tessuto musicale di 'Intimacy' appare unico nelle sue trame.
Un tessuto elettronico a maglie larghe, tanto larghe da farci passare attraverso le chitarre che sembrano sorprese nel trovarsi circondate da campioni corposi e break-beat incalzanti, spiazzate da una partitura di trombe ed un coro di voci gotiche.
Ci troviamo di fronte ad un' imponente montagna di suoni.
La vetta è tenuta da Okereke, in forma strepitosa, aiutato dalla produzione ineccepibile.
La sua voce inonderà, c'è da starne sicuri, in maniera massiva l'aria dei quartieri londinesi (bloc) - alle feste (party).
C'è da ballare immersi in un'atmosfera estraniante e malinconica.
E questo piace ai frequentatori dei bloc-party.
A luci spente, si potrà sentire ancora la scia di 'Intimacy', la sua imprevedibile traiettoria restituisce l'insicurezza del futuro musicale dei 4 di Manchester, al contempo il delinearsi di questa parabola rende loro un doveroso plauso per l'audacia mostrata.
E l'audacia, anche se accompagnata da un senso generale di incompiutezza, è cosa gradita.
Quindi: bravi Bloc Party.
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