Bring Light to the Lives

of our Sisters and Brothers

Bring Fire to the Lik of our Enemies

The turning of the Great Wheel

has begun

Blóð + Trú, antico norreno, che in inglese suona come Blood + Faith. Le poche bio su questo enigmatico progetto musicale di origine danese dicono più o meno: “…le credenze che scorrono nel nostro sangue, qualcosa che nemmeno gli oltre 1.500 anni di oppressione e lavaggio del cervello sono riusciti a distruggere. L'anima europea è ancora dentro di noi, ascoltate i suoi mormorii… […] Ideologicamente Blóðtrú parla ai nostri cuori di una national mind che una volta esisteva nelle tribù germaniche, e può ancora rivivere. Musicalmente rende omaggio alla seconda ondata Black Metal dei primi anni '90.”

Blóðtrú è una one man band, il cui unico componente, Trùa, ci vuole guidare verso quel risveglio pagano europeo cui già altri aprirono la strada un po’ più a nord, dal buon vecchio Quorthon (pace al suo glorioso spirito immortale) al famigerato Vikernes, ai maestri Ulver, fino alle schiere di gruppi e side-project vari, con punte di eccellenza come i mai dimenticati Storm ed Isengard, per citare quella seconda ondata di cui sopra. Folklore, tradizione, retaggio ancestrale, nostalgia per un paganesimo che si contrappone ideologicamente alla tradizione cristiana, così come fu per l’occulto e la matrice satanica utilizzata come vessillo da molti gruppi Black e Death Metal dalla fine degli anni ’80 ad oggi. Ribellione o catarsi che sia, questi generi hanno saputo non solo rimanere vivi e vegeti, ma hanno anche sperimentato lidi e approdi (con qualche inevitabile deriva) che tengono viva la fiamma ogni anno che passa, ed ogni anno questa benedetta/maledetta “nera fiamma” arde sempre più vigorosa. Ebbene sì dunque, questo tipo di approccio non è certo una novità, molti gruppi sperimentano da anni queste sonorità, ritmi cadenzati, lenti, pesanti, voce tagliente e malefica che si fonde con quella più pulita e salmodiante di uno stile tipicamente evocativo e poi il paganesimo germanico antico, abusato ormai, direte voi, fin qui tutto lascia pensare all’ennesimo album insomma… Qui però credo valga la pena spendere qualche parola (visto che nessuno lo farà mai) su questo progetto e voglio assolutamente farlo, approfittando di questo spazio libero.

Cercando di entrare in questo elegante lavoro, tenterò di dire perché, secondo me, si differenzia da molte altre uscite analoghe. Anzitutto le sonorità sono sviluppate non cercando di fotocopiare vecchie idee, ma tentando strade personali ed intime, dopo l’introduzione, il primo capitolo – Sunwolf I - ci investe subito con un tappeto sonoro che ci avvolge nell’atmosfera del lavoro, il pezzo è ipnotico ma mai banale, il concept dell’album è quello che lega noi umani all’antica divinità della luce. Il carro, o ruota solare, è il centro dell’universo e da sempre è per noi creature viventi una delle massime autorità cui volgiamo lo sguardo intimorito, ecco perché la luce è presente in quest’opera, anche se spesso la voce che irrompe e si impadronisce della scena è tipicamente Black Metal, la sensazione che si ha non è quella claustrofobica e nerissima dei primi Darkthrone ad esempio, non ci sente perduti e oppressi, l’idea che parte fin dalla copertina di Sunwolf è lì a cercarci, ad indicarci quella via che sembra persa, Sunwolf II infatti è tirato e centrato su tempi veloci, il timbro feroce e gracchiante è supportato da un incedere trionfale che sale man mano verso l’alto, il che rende impossibile sentirsi nell’oscurità, al contrario sembra che il carro del Sole stia passando sopra di noi, portando pian piano quella lux in tenebris che da Apollo a Belus, Baldr e poi Cristo, ha fatto e fa parte della nostra lunga e tormentata storia spirituale e che è presente in tutte le culture e religioni del pianeta. Il terzo capitolo ha la voce pulita, recita piano il suo messaggio di rinascita e “risveglio” ed ha un sottofondo quasi apocalittico che poi diventa simile al filo conduttore del primo brano e la voce di Trùa torna a tirare fuori gli artigli, pronta a scavare profonde ferite. E’ sorprendente come, anche quando l’aria si fa cupa e pesante, il tutto non risulti mai buio e depressivo, benché in molti passaggi ci siano tutte le carte in regola per sprofondare nella tenebra paludosa di un certo filone di sicuro noto e caro al nostro musicista danese.

Questa interessante proposta vuole chiudersi con un capitolo dedicato, appunto, al “dio di luce”, il già citato Baldr e lo fa con una traccia che adoro ed ho ormai assorbito completamente tanto l’ho consumata, siamo nell’ambient, tutto il discorso precedente lascia spazio solamente a questa malinconica poesia sonora dedicata allo sfortunato dio germanico figlio di Odino, che splende di luce propria e abita nella sua dimora che ha nome Breiðablik, che significa “antico splendore”. Certo il mito di Baldr (già trattato da un certo signore dietro le sbarre delle patrie galere norvegesi) è sempre affascinante, così come i miti solari con le loro simbologie e riti annessi, tra tanti musicisti che hanno cercato di cantarne i movimenti, questo Sunwolf, a mio modesto avviso, vale l’ascolto e centra l’obiettivo di riuscire ad illuminare un genere come il Black Metal, che nasce nel buio per il buio, ma che può anche contenere, proprio per questa sua natura notturna e solitaria, quel motto che per i greci fu attribuito alla divina dea Ecate: EN EREBOS, PHOS.

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