"Autoamerican" è il disco più ambizioso della band di New-York, si tratta infatti di un lavoro che fonda le sue fondamenta su di un impasto sonoro molto particolare, non c'è omogeneità tra i brani presenti, ogni canzone ha delle caratteristiche precise, degli arrangiamenti studiati in modo dettagliato e soprattutto l'insieme è curato in modo sorprendente e alla fine il gruppo riesce nell'impresa di dare un senso compiuto allo stile un po'disco e un po' rock che avevano presentato con il precedente "Eat To The Beat".
Molti liquidano la seconda parte di carriera dei Blondie come una semplice virata verso toni più morbidi e ballabili, non si può negare che questo sia avvenuto, ma è il modo con cui vengono prodotti molti brani a lasciare sbalordito l'ascoltatore, l'apertura di "Autoamerican" non è affidata ad una canzone pop di facile presa ma ad un pezzo di Chris Stein decisamente interessante, "Europa" è quasi totalmente strumentale, si basa su di una partitura per archi e ottoni, la melodia è deliziosa, all'ultimo poi si inserisce il gruppo e la Harry recita il testo che parla del ruolo dell'auto nella civiltà moderna. "Europa" si perde poi nelle note iniziali di "Live It Up", scritto ancora dal chitarrista e leader della band, è un brano ballabile molto bello e riuscito, i sintetizzatori di Destri creano effetti particolari che sugellano perfettamente l'andamento disco della canzone. La terza traccia, "Heres Looking At You", è invece una canzone jazzy resa indimenticabile dalla voce di Deborah Harry, il reggae di "The Tide Is High" è il primo singolo estratto dal disco, cover di un vecchio successo, i Blondie lo fanno proprio e diventa presto un loro classico.
Il lato B si apre con una composizione di Destri, "Do The Dark" è un brano molto ballabile con una ritmica dettata in modo precisissimo da Burke e Harrison, il tastierista si concede con i suoi sintetizzatori alcuni assoli molto belli e dalle sonorità arabe; su una ritmica funky si basa il capolavoro dell'album, "Rapture" è un bellissimo esempio di creatività, scritto da Stein e la Harry è ricordato per essere il primo esempio di rap bianco (che in realtà è presente solo nella seconda parte della canzone), da notare il complicatissimo arrangiamento con hand-clapping, un tema per campane tubolari e l'intervento prezioso degli ottoni, chiude poi un assolo di chitarra di Chris Stein. "Faces" è ancora una volta un brano jazzy scritto dalla Harry in cui fa capolino un bel sax, "T-Birds" scitta da Harrison rimanda al primo album del gruppo, chiudono due brani in linea con il resto.
"Autoamerican" è dunque un disco decisamente affascinante, pieno di brani interessanti che possono soddisfare molti cultori della New-Wave; consiglio vivamente l'acquisto insieme al primo, rappresentano un po' gli estremi della loro avventura musicale, che vale la pena conoscere.
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