Avete presente quelle bottiglie di liquori sulla cui etichetta viene riportata la scritta "purissimo distillato di...", bene, ecco, nel caso di questo album, potremmo, prestandoci l'eufemismo, dire che si tratta di "purissimo distillato di Death Metal". Quello e niente altro più.
Dodici canzoni una più bastarda dell'altra, con un'innata tendenza alla scena "retrò", non solo per quanto riguarda la tradizione del più blasonato "Swedish Metal" (Entombed, Hypocrisy prima maniera), ma con più di una strizzata d'occhio alla musica estrema d'oltreoceano. Non si ha bisogno di un orecchio allenato, se si conosce il genere s'intende, per poter distinguere in sicurezza le influenze che più hanno inciso nella struttura dei Bloodbath: Morbid Angel, Autopsy, Possessed, Bathory, e tanti altri ancora che hanno fatto la fortuna del Death Metal e lo hanno portato poi ad essere quel genere super-contaminato e versatile di oggi.
Certo, magari non si può proprio pensare che questo sia un lavoro innovativo, ma di certi tempi musicali, di certe attitudini veloci e tecniche, di certe aggressioni sonore non si può proprio fare a meno. E dunque, eccola, quest'opera che non ha pretese, nessuna voglia di "innovarsi", nessuno spigolo astruso da doversi cercare: pura aggressione sonora, come nella migliore tradizione oltranzista e nichilista del Death Metal. E allora, chitarre "a motosega" (ma molto meglie mixate rispetto al precedente "Resurrection Through Carnage"), vocalizzi feroci e cupi, batteria al fulmicotone con la doppia cassa sempre bene in evidenza (in certi frangenti sembra quasi di sentire il magnifico Dave Lombardo nella sua migliore forma), canzoni che durano tre, massimo quattro minuti, e che riescono a sputare rabbia e violenza da tutti i pori.
Certo, probabilmente non ho scoperto l'acqua calda dicendo che questo è un bel album, visti i componenti (che sono: Dan Swanö e Anders Nyström alle chitarre, Jonas Renkse al basso, Martin Axenrot alla batteria e Peter Tägtgren alla voce, in sostituzione del defezionario Mikael Åkerfeldt) e vista la perizia e il talento che questi hanno dimostrato e dimostrano con le loro rispettive bands d'origine (Katatonia, Hypocrisy, Opeth), ma comunque c'è da dire che, più che altro, la passione per il genere e la voglia di divertirsi la si sente tutta.
E allora, perché non abbandonarsi ad una sana e salutare dose di violenza "spaccaossa" che non si sente ormai più da tempo? Gli ingredienti e le possibilità, più di ogni altra potenzialità, ci sono tutti, ed in tutti i brani e per tutti i gusti. A cominciare da "Cancer of the Soul" con la voce di Peter Tägtgren che sui toni bassi è un vero piacere ascoltare, continuando con "Eaten" dalla spiccata fisionomia "Morbid Angel", oppure soffermandosi sui tempi ultra-veloci di "Draped in Disease"?
Non solo per i nostalgici, come tanto si è scritto, ma anche per chi, magari, non conosce il lato più truce di bands come Katatonia o Hypocrisy, o che, sinceramente, non vuol sentire parlare di contaminazioni e sul comodino non ha altro disco che uno qualsiasi degli Unleashed.
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