Si è soliti dire che gli album live sono il banco di prova per ogni artista o band che si rispetti, dimostrando l’ effettivo valore dei musicisti impegnati nella sua esecuzione: On your Feet or on your Knees dei Blue Oyster Cult conferma questi assunti, risultando una delle massime espressioni dell’ attività discografica del gruppo newyorkese ed uno dei migliori live della storia del rock per intensità dell’ esecuzione dei singoli brani, purezza del suono e della registrazione, rapporto dei pezzi suonati rispetto alle omonime versioni di studio. Se i BÖC sono entrati di diritto nella storia del rock, lo devono, dunque, anche a questo live. L’ album appare essenziale anche per la storia interna del gruppo, segnando una sorta di spartiacque fra il primo periodo della band (’71-’ 5), improntato ad un hard rock di derivazione psichedelica, garage blues ed un secondo periodo (’75-’ 9), in cui i BÖC cercheranno di “ monetizzare” le ottime critiche ricevute per i primi lavori con un suono meno spigoloso e di maggior impatto commerciale, prima di un prepotente ritorno a sonorità heavy rock (’80 – ’81).

Passiamo però all’esame dei singoli brani: Subhuman, da Secret Treaties, si discosta dalla versione di studio per maggior velocità di esecuzione, maggior impatto di chitarra e tastiere e per maggior attitudine rock, senza perdere tuttavia in poeticità; le tastiere di Lanier caratterizzano in maniera particolarmente decisa anche la successiva Harvester of Eyes, sempre tratta da ST; Hot Rails to Hell, da Tyranny & Mutartion, sostenuta dal basso di Joe Bouchard, autore del brano, ha un impatto sonoro eccezionale e spiega, più di ogni parola, le ragioni per le quali i BÖC sono stati presi a modello dalle heavy metal bands degli anni ’ 80, Metallica in primis; The Red & the Black, ancora da T&M, tiene alta la tensione che si sprigiona dai solchi dell’album, confermandosi un hard rock di devastante potenza, ottimo per cogliere l’impasto sonoro di basso/chitarra/batteria tipico dei primi album dei BÖC; Seven Screaming Diz Busters, ancora da T&M, non fa rimpiangere la versione in studio, lasciando sempre ampio spazio al cantato teatrale di Bloom; la successiva Buck’ s Boogie, inedita su disco, mette in evidenza la grande tecnica chitarristica di Donald Roeser e l’attitudine del gruppo a creare delle lunghe jam in cui il rock, blues, psichedelia si fondono in un unicum di gran pregio; lo stesso può dirsi per (Then come) the last Days of May, dal primo omonimo album in studio, in cui possiamo riscoprire il lirismo della chitarra di Roeser; il terzetto di brani composta da Cities on Flame With Rock & Roll (dal primo album), ME 262 (da ST) Before the Kiss, a Redcap (sempre dal primo album) andrebbe ascoltato senza soluzione di continuità per apprezzare le notevoli divergenze dei tre pezzi dalle, pur belle, versioni in studio: si tratta di esecuzioni caratterizzate da un suono maggiormente granitico, da un cantato maggiormente aggressivo e  "sguaiato” rispetto alle incisioni degli anni precedenti, in grado di evidenziare l’ eccezionale presa sonora dei BOC in sede live, trascinando il pubblico (e, oggi, l’ ascoltatore). L’album si conclude con due cover ben riuscite che mettono in evidenza le passioni automobilistiche del gruppo, come Maserati GT (I’ Aint got You) e gli ispiratori dei BOC, come Born to be Wild degli Steppenwolf: inutile dire che quest’ultima è, probabilmente, migliore dell’originale.

Il voto è altissimo per la qualità intrinseca del lavoro, tenendo sempre ben in considerazione lo splendido artwork dell’album, sia nella copertina che all’interno, con una miriade di allusioni alla dimensione occulta e fantascientifica dei testi del gruppo. A cercare il pelo nell’uovo, si potrebbe lamentare la mancanza di una versione live di Astronomy e Dominance & Submission, ma sembra di chiedere davvero troppo. Inestimabile.

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