Nell'immaginario collettivo, e, se vogliamo, dell'americano medio, la musica dei Blue Öyster Cult è associata al pezzo d'inizio di quest'album, "Godzilla", dal riff incalzante (piaceva e non poco a Cobain che quasi lo plagiò per "Smells like...") e dalle tematiche fantasiose, in cui la fantascienza di sposa con certo horror da cinema di serie b: in sostanza, l'americano medio conobbe i Blue Öyster Cult, decretando il loro successo su scala nazionale, con un brano che banalizza, quasi a renderlo ridicolo (si spererebbe con autoironia) il suono del quintetto, come pure le tematiche trattate nei brani della band. L'Altrove che caratterizza la loro poetica non viene qui suggerito, ma svelato e smascherato nelle fattezze del dinosauro mutante, il che ci getta nello sconforto quasi come capita alla fine dell'IT televisivo ed alla visione dell'enorme ragnone.
Questa premessa consente di dire quasi tutto su "Spectres" ('77): album in cui l'hard rock venato di blues, jazz, psichedelia del quintetto viene costretto, più ancora di quanto avveniva nel precedente "Agents of Fortune", nelle forme della musica di consumo, depotenziandone le suggestioni.
Oltre alle considerazioni fatte per Godzilla, ragionamenti analoghi potrebbero essere prospettati con riferimento ad altri pezzi contenuti nell'album, fra cui la ritmata, ma noiosa, "R.U. Ready to Rock", la melodica - ancorché sempliciotta - "Celestial the Queen", l'imbarazzante "Going Through The Motions" (con Ian Hammer), la scontata "Searchin' For Celine", piuttosto che le banali "Fireworks" e "I Love the Night", più degne di un album dei Supertramp più melodici che del gruppo newyorkese.
Si tratta, nell'insieme, di pezzi dalla indubbia presa radiofonica, anche facili da memorizzare e cantare, ideali per un lungo viaggio in auto, quasi a far da colonna sonora di un'avventura a quattro ruote: nulla di male in questo, se non fosse che migliaia di gruppi attività negli anni '70 facevano musica di questo genere (inconsapevoli modelli dei peggiori Red Hot che ci ammorbano da qualche anno), mentre chi apprezza i Blue Öyster Cult chiede sensazioni e angosce, risvegli di paure recondite, timori suggeriti.
Volgarizzando il proprio linguaggio, il gruppo ha sostanzialmente tradito i propri appassionati, pur guadagnando frotte di ammiratori nella middle class americana tipica delle storie di Matt Groening, quanto di più lontano vi fosse dalla controcultura della Grande Mela in cui si muovevano, in origine, il paroliere - produttore Sandy Pearlman ed i cinque musicisti.
Fortuna vuole che anche in quest'album qualcosa si possa salvare: chiariamo subito come si tratti di pezzi che, nei primi tre album del gruppo, avrebbero meritato tutt'al più il ruolo di riempitivo, ma tant'è. "Golden Age of Leather" si fa ricordare per la varietà dei temi musicali e l'agilità dell'arrangiamento (qualità che a dire il vero non interessavano il gruppo alle sue origini!), mentre "Death Valley Nights" spicca per il suo cupo intimismo, riallacciandosi idealmente alla facciata "nera" di "Tyranny and Mutation". La conclusiva "Nosferatu", forse con qualche lungaggine di troppo, si giova di un'atmosfera opprimente e di qualche guizzo di classe, specie nell'interpretazione vocale, anche qui rimandando alle atmosfere dei primi album.
Ascoltato "Spectres" e superato lo sconcerto iniziale, chi ama il gruppo non potrà che far spallucce, tornando a riascoltare i precedenti lavori del gruppo. Chi non conosce il Culto dell'Östrica Blu potrebbe scambiare erroneamente i cinque per l'ennesima band da "Arena Rock" anni '70, meritevole di finire in qualche compilation assieme ad una miriade di gruppi trascurati e trascurabili. Davvero un peccato.
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