In qualche costituzione - credo quella degli Stati Uniti d'America - si legge che tutti gli uomini sono creati (nascono) uguali. Ciò postula, ovviamente, che alla uguaglianza naturale fra i singoli uomini corrisponda una disuguaglianza dei punti di arrivo, dovuta a varie e concomitanti circostanze, quali le inclinazioni personali, la ricchezza della famiglia d'origine, l'educazione ricevuta negli anni, il lavoro svolto, l'iterazione con i propri simili ed, in breve, tutto ciò che forgia il carattere e la personalità del singolo individuo.

Nell'ottica del menzionato costituzionalismo, intriso di filosofia illuministica, traspare implicitamente una sorta di scissione fra uomo come prodotto della natura (pura "potenza", anche in senso aristotelico) e uomo come prodotto della cultura, propria e dei tempi in cui vive (puro "atto", sempre nei termini cari al filosofo greco), e non vi è dubbio che l'uomo "acculturato" - nel senso ampio del termine: homo sapiens ma anche homo faber - sia una creatura decisamente più degna dell'uomo "naturale", se non altro perché la sue conoscenze permettono indirettamente a tutta la collettività di arricchirsi e svilupparsi, fino al raggiungimento di quella felicità che alcune costituzioni nordamericane annovera(va)no fra i diritti fondamentali dell'individuo.

E' tuttavia agevole sottolineare come il confine fra natura e cultura, sia, in ultima analisi, estremamente labile, stante lo schematismo insisto nelle stesse categorie innanzi delineate: in altri termini, questa distinzione tradisce l'ottimismo tipico del pensiero illuminista (e del costituzionalismo che ne deriva) e la pretesa dello scienziato illuminista di controllare il reale, riducendolo ad uno schema. Sennonché, si trascurano variabili quali i sentimenti, le pulsioni, l'inconscio, e tutto ciò che contribuisce a definire la sfera dell' "irrazionale".

"Cane di paglia" di Sam Peckinpah, statunitense con avi fra i nativi americani, ci invita a riflettere sul crinale che separa cultura e natura, ragione da violenza, autocontrollo da sfogo distruttivo.

La storia - ambientata in una cupa Inghilterra (terra d'origine dei costituenti americani) - è quella di un timido professore di matematica che si ritira, con la bella e provocante moglie, in una casa di campagna dislocata in una landa dell'estrema provincia inglese. La bella e civettuola signora, trascurata dal marito impegnato in continue elucubrazioni su modelli matematici, attira l'attenzione di una banda di giovani operai locali impiegati nella ristrutturazione della casa del professore, tanto da venire violentata da essi. Ciò scatenerà l'inattesa ed imprevista reazione del professore, in una spirale di odio e violenza.

Il perdurante fascino di questo film risiede nelle continue e ripetute contrapposizioni che lo animano: il professore rappresenta contemporaneamente la cultura e la speculazione, in opposizione alla vitalità e sensualità della bella moglie ed alla rudezza e fisicità dei villici; al contempo, l'intellettualismo del professore sembra celare la sua impotenza ed il suo disinteresse per il sesso, ed in primis per la moglie, in contrasto con la marcata mascolinità degli operai, che non sanno né vogliono controllare le proprie pulsioni, a fronte delle provocazioni ed allusioni della moglie del professore. Tutte le evidenziate contrapposizioni hanno tuttavia un punto di rottura nella violenza sessuale subita dalla moglie del professore: questi abbandona la sua dimensione prettamente razionale, la sua lontananza dal mondo e dalla carne, diventando egli stesso carnefice in una riscoperta della propria natura belluina e della sua vocazione a distruggere.

E' significativo notare come la natura del protagonista abbia un turnover nel momento in cui gli viene toccata la moglie, rimanendo comunque ambigua la spiegazione della sua reazione alle prevaricazioni dei villici: volontà di difendere la propria consorte, mossa da una coscienza morale, o piuttosto volontà di riaffermarsi unico proprietario del corpo della donna, difendendo solo per traslato la propria signora? Non ci è dato intenderlo fino in fondo, ed in questo dissidio può notarsi il fascino sottile, forse morboso ed ammorbante, del film. Fascino che, a distanza di quasi quarant'anni dalla sua uscita, permette di tacciare talora "Cane di paglia" come film reazionario, fascista e antifemminista, talaltra - ed è la mia modesta opinione - come film di crudo e disperato realismo.

Un'ultima chiosa sulla scelta dell'azzeccato protagonista: nel 1967, epoca della Summer of Love che tanto si va celebrando in questi giorni, Dustin Hoffmann impersonava il timido laureato nella nota commedia di Mike Nichols, conoscendo le prime pulsioni e liberazioni sessuali nei suoi contatti con una ragazza e con la sua matura madre. Nel 1971 lo stesso attore, nel ruolo del professore, sembra quasi celebrare il funerale delle illusioni sessantottine, lasciando spazio alla sempiterna violenza dell'individuo ed alla pessimistica rappresentazione di un uomo che non riesce ad abbandonare la sua natura ferina nonostante i ciclici tentativi di emancipazione culturale - e controculturale - che si susseguono nella Storia, rimanendo saldo nel proprio individualismo.

Non sono forse le vere radici degli Stati Uniti e di Peckinpah, piuttosto che quelle vaneggiate dai costituenti?

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