E' di questi giorni l'ufficialità della nuova reunion dei Blur. Reunion completata dall'esibizione ai Brit Awards 2012, con un Damon Albarn a dire il vero non in massima forma, e dall'annuncio della presenza della storica band britpop, in qualità di headliner, al concerto per la cerimonia di chiusura dei giochi olimpici di Londra 2012 che si terrà il 12 agosto nella capitale britannica, ad Hyde Park. Non esiste dunque un momento più propizio, in questo nuovo decennio, per recensire il disco più rappresentativo e senza tempo della band: "Parklife", opera terza della band.

Uscito nel 1994 esso è uno dei 4/5 dischi fondamentali del britpop, probabilmente quello che più di ogni altro ne sintetizza l'essenza e ne ha contribuito la diffusione di massa anche fuori dall'Inghilterra. E' un disco compatto e allo stesso tempo molto vario, in cui gli influssi madchester dei due album precedenti, "Leisure" soprattutto, sono mischiati a tipiche influenze mod, orchestrazioni di alto livello e un songwriting pop tipicamente kinksiano, beatlesiano e soprattutto albarniano. L'album si apre con "Girls & Boys", il cui celeberrimo giro di basso e ritornello trascinante ne hanno fatto un singolo scalaclassifiche prima e una pietra preziosa incastonata nella corona reale della musica britannica poi. La seconda traccia è "Tracy Jacks", solido pezzo pop rock con riff coinvolgente e ritornello che ti si appiccica immediatamente in testa, rafforzato da una patina madchester che non guasta e rifinito da dei gradevolissimi archi di accompagnamento. Segue la gradevole ballata, con forti venature britpop, "End Of The Century": uno dei pezzi più amati dai fan del quartetto dell'Essex. La quarta traccia è la title track, ed è quanto di più mod si possa trovare nell'album: a partire dal riff di scuola The Who, magistralmente pensato e interpretato da Graham Coxon, sino alla recitazione delle strofe affidate all'icona mod Phil Daniels, attore nel leggendario film "Quadrophenia". Ma a piacere soprattutto è lo storico ritornello, che è invece rigorosamente cantato da Albarn: un vero e proprio inno liberatorio alla vita all'aria aperta, libera e senza pensieri, propria degli immensi parchi inglesi. Si passa poi allo scatenamento di transizione di "Bank Holiday" per approdare a un triplo passaggio tipicamente sixties, in particolare chiedere di "Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band" dei Beatles o di "The Village Green Preservation Society" dei Kinks: la ballata "Badhead" e le orientaleggianti e psichedeliche "The Debt Collector" e "Far Out". Segue questo gradevole momento, tipico da concept album epoca '67, la bellissima "To The End": classico coro orchestrale bluriano, cui un celeberrimo esempio è dato dalla splendida "The Universal" dell'album successivo, impreziosito dalla soave voce francese di Lætitia Sadier degli Stereolab.

Il disco conosce poi un'accelerazione con la funkeggiante "London Loves", in cui Alex James ci da un'ulteriore dimostrazione delle sue splendide doti di bassista, già per altro messe in evidenza alla stragrande con "Girls & Boys". Da qui in avanti il disco scorre piacevolmente sulla falsariga di ciò che è già stato detto in precedenza: "Trouble In The Message Centre", "Clover Over Dover" e "Magic America" sono tre prototici standard della tipica canzone britpop anni '90 di stampo bluriano, mentre "Jubilee" è un classico e ben riuscito pezzo alla "Modern Life Is Rubbish". Penultima traccia è la splendida, e strapremiata dalla critica, "This Is A Low", canzone se vogliamo gemella di "To The End", in cui il coro è più trascinante che mai e porta l'ascoltatore ad una chiusura serena, liberatoria e senza pensieri affidata alla breve ma molto intrigante "Lot 105", una sorta di bonus track non bonus track, che mette una dolcissima e graditissima ciliegina su una torta di fattura già regale.

Che dire: disco fantastico e band leggendaria. Sarà un privilegio incredibile essere ad Hyde Park il 12 agosto ed assistere in presa diretta a uno degli eventi più importanti della musica britannica di questo nuovo e difficile decennio.

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