Damon Albarn ha definito questo nuovo “The Ballad Of Darren” come il primo vero album dei Blur in senso stretto dai tempi di “13”.

E, in un certo senso, è una descrizione calzante. “Think Tank” del 2003 soffriva della mancanza di un cardine come Graham Coxon (presente nella sola “Battery In Your Leg” all’interno della tracklist del disco principale), il grande ritorno con “The Magic Whip” del 2015 (seppur buono) è nato da una session in terra d’oriente sviluppata dai soli Coxon, Rowntree e James che hanno poi sottoposto il materiale ad Albarn, che l’ha completato con non tantissima convinzione.

Nel caso di questo nono album, invece, i quattro londinesi si sono chiusi insieme in studio, ed hanno lavorato e contribuito a ben ventiquattro idee partorite da Albarn durante l’ultimo tour dell’altro suo progetto più in vista, i Gorillaz. Ispirato da un murales raffigurante uno dei suoi grandi idoli, Leonard Cohen, il buon Damon ha cesellato una serie di brani da affidare in cabina di produzione al lanciatissimo James Ford, fautore ed ispiratore del divisivo nuovo sound di un altro peso massimo del rock britannico, gli Arctic Monkeys.

Ford per metà dei Blur non è un nome nuovo, avendo già lavorato a “The Now Now” degli stessi Gorillaz e al nuovo progetto di Graham Coxon, The Waeve. Si parte quindi da un volto in buona parte familiare, al fine di cesellare il sound di un disco quasi totalmente distaccato dal precedente lavoro, che assume sempre di più i connotati di un episodio a sé stante nella meravigliosa discografia della band. E’ così che il primo singolo “The Narcissist” setta subito le coordinate giuste, centrando in pieno il bersaglio e consegnando alla discografia della band l’ennesimo grande classico; i suoni sono perfetti e bilanciati, la chitarra di Coxon disegna traiettorie semplici ed orientate al tanto caro alt rock anni novanta (echi dei Pumpkins più edulcorati non tardano a far capolino), Albarn suggella il tutto con l’ennesima, memorabile melodia vocale.

Il secondo singolo “St. Charles Square” è l’occasione per far brillare al massimo la chitarra di un Coxon che guarda al Bowie di “Scary Monsters” travestendosi per l’occasione da Fripp, riportando la lancetta dell’orologio ai tempi di “Modern Life Is Rubbish”. E’ l’unico sussulto nostalgico del disco, però, perché per il resto della tracklist i toni sono composti e suonati con gusto; il formato prediletto è quello della ballata, come ben impostato dall’opener “The Ballad”, versione finita e rifinita di “Half A Song” compresa nell’esordio solista di Albarn, “Democrazy” del 2003. Qui quella vecchia, superba demo viene arricchita dal resto della band, che costruisce una ballata melodicamente ineccepibile ed arrangiata con grande gusto.

“Barbaric” è una potenziale hit anche nel 2023, e non a casa è stata scelta come terzo estratto, vista l’incredibile coabitazione di un beat vagamente à la Gorillaz che va a sposarsi con una melodia squisitamente brit. “Russian Strings”, anticipata dal vivo già in alcune date precedenti all’uscita del lavoro, va davvero a lambire a livello di sound gli ultimissimi Arctic Monkeys, suggellando di fatto un “passaggio di consegne” già effettuato da Albarn in alcune interviste (“sono la migliore guitar band in circolazione oggi”).

Non mancano momenti che pescano dalle attività collaterali degli altri membri della band: incursioni in un intimismo già sperimentato da Albarn nel suo ultimo episodio solista (“The Everglades – For Leonard”, “Far Away Island”, “Avalon”), pennellate chitarristiche tipicamente coxoniane (“Goodbye Albert”, una delle vette assolute dell’album), mentre il tanto nostalgicamente evocato britpop fa capolino solo nel finale.

Il compito di chiudere è infatti affidato a “The Heights”, che apre con delle chitarre acustiche ben definite e pulite (di nuovo Bowie, stavolta versante “Space Oddity”); al momento del decollo, in un tripudio di suoni che più brit non si può, i Blur affogano tutto sotto uno strato di rumore quasi fastidioso. Un po’ come a dire: ragazzi, quella festa lì è finita, ma è iniziato qualcosa di nuovo ed entusiasmante, nonostante tutto. L’augurio è che non sia necessario aspettare altri otto anni.

Lunga vita ai Blur.

Brano migliore: Goodbye Albert

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