"Ernold Same si svegliò dal solito sogno / nel solito letto / alla solita ora / guardò nel solito specchio / fece la solita faccia / e si sentì come tutti i giorni nel solito modo / (..) povero Ernold Same / il suo mondo rimane il solito / oggi sarà sempre domani (..) povero, vecchio Ernold Same, / ha di nuovo quella sensazione / che domani non cambierà nulla"

("Ernold Same")

Una mancanza di senso e di speranza quasi paralizzante.

"The Great Escape" è un disco di passaggio, ma nel migliore senso di questo termine; è uno splendido disco di passaggio: sta tra i Blur di "Parklife" e i Blur di "Blur", ovvero i dischi che rappresentano, in modo magnifico, le due facce della band. Ed è un disco triste, anche se a volte la sua malinconia è volutamente nascosta.

Osservate la copertina: apparentemente estiva, con degli individui che si tuffano felici e spensierati in mare. Aprite la confezione: uno squalo minaccioso li sta aspettando.

Pezzi, infatti, come l'irresisibile e trascinante "Country House", "Charmless Man" o "It Could Be You" hanno una melodia solare e sostanzialmente divertente.

Ma mettetevi ad ascoltare la cupa e lisergica "He Thought Of Cars", la schizofrenica rabbia punk di "Globe Alone", la follia di "Mr Robinson's Quango", la malinconia di "Best Days", "The Universal" o di "Entertain Me" e vi accorgerete che di solare, in questo disco, c'è ben poco.

E poi c'è "Ernold Same", un valzer ubriaco e triste, poi ripreso dopo l'ultima, malinconica "Yuko and Hiro", in forma di ghost track, un modo di chiudere il disco che i nostri riproporranno anche in "Blur".

Albarn, Coxon, James e Rowntree ormai hanno uno stile ed un talento, nel fare musica, invidiabile: sono eclettici, brillanti, curiosi, geniali. Il capolavoro che faranno uscire due anni dopo ha le basi qui.

"La Grande Fuga" era iniziata; e si poteva intuire dove li avrebbe portati.

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