Nel 1928 Magritte dipingeva "Gli amanti", due persone di sesso opposto avvolte in un lenzuolo che si baciano. O almeno, ci provano. Osservare quel dipinto è come provare ad annusare l'aria in una calda mattina di primavera e non sentire nulla, il naso tappato e i fiori fuori, timidamente sbocciati dopo un lungo e restio inverno; osservare quel dipinto è come quando nei sogni provi a parlare ma qualcosa non te lo permette, e ci provi con tutte le tue forze ma non riesci a proferir suono, nessuno ti sente, ti dimeni, non riesci a ricordare in quale momento hai prestato la tua voce a Ursula per avere in cambio le gambe, che le gambe ce le hai, e la voce no. Quel bacio rappresenta questa impossibilità terribile: provi a entrare in rapporto con un essere umano, ma la tua condizione non te lo permette e ti limiti a un bacio soffocato. Le stesse sensazioni me le provoca la visione della copertina di questo album.
La copertina di Think Tank fu realizzata appositamente per i Blur da Banksy nel 2003 e rappresenta due persone, un uomo e una donna, nell'atto di abbracciarsi, un abbraccio che si pensa sia un preludio a un bacio che non ci sarà mai, perchè i due hanno dei giganteschi caschi da palombaro che impediscono loro di avvicinarsi. Sono veramente ingombranti. Anche qui un'impossibilità di rapporto, di relazione, il limite tra due persone che di fatto stanno sott'acqua, in un'ambiente senza aria in cui è impossibile respirare, parlare, svolgere le funzioni vitali normali. E se ci fossero due mascherine? Banksy nel 2021 le avrebbe disegnate due mascherine (probabilmente sarebbero state due maschere antigas), immagine quanto mai inflazionata di un futuro prossimo in cui ci saremmo protetti gli uni dagli altri vedendo nell'altro il pericolo di essere intaccati e demoliti; purtroppo quel futuro per noi è un presente, è un rapporto impossibile, un bacio soffocante e soffocato, una fusione alcalina e tossica. Comunque Think tank è tante cose: oltre ad avere anche un riferimento storico-politico, essendo un organismo nato durante la seconda guerra mondiale che si occupa delle politiche pubbliche fondato negli US, rappresenta la speranza per dei rapporti migliori, è un "serbatoio di pensieri" che se da una parte è un esplosione di creatività, non permette di agire nell'immediatezza dall'altra, nuotando in un'acqua che fa attrito e non ci fa raggiungere la riva della spontaneità. Ed è forse qui che risiede il gap concettuale-sperimentale dell'album. Il concetto dell'impossibilità della relazione è alla base significante dell'album, un album pieno di speranza per un futuro migliore, fatto di rapporti più trasparenti, fiorenti, sinceri; in effetti i Blur erano da un po' che non si beccavano, Damon Albarn si era fatto i suoi viaggetti per il mondo e le sue sperimentazioni in altri progetti, come con i fantastici Gorillaz. A questo punto aveva pensato: perchè non tornare dai vecchi amici e far capire attraverso un album tutto introspettivo e a tratti veramente dolcissimo come il loro rapporto sarebbe potuto andare meglio? Perché non spazzare via tutte le dicerie dei tabloid sui Blur semplicemente facendo ottima musica? Infondo è quello che conta, ed è quello che hanno fatto.
Think Tank è senza dubbio lontano dalle sonorità britpop degli album precedenti ed è sicuramente l’esito di una sperimentazione molto ampia: presenta infatti anche sonorità esotiche e veramente interessanti, il tutto legato dall’idea della stratificazione di suoni: un ambiente sonoro in cui immergersi e recuperare i rapporti perduti, con se stessi e con il mondo. Tutti i brani hanno una caratterizzazione specifica, ognuno è caratterialmente dirompente (parliamo di Crazy Beat, del punk di We’ve got a File on You, delle reminscenze dei Clash più etnici di Moroccan Peoples Revolutionary Bowls Club) con tratti dolci e melodici (parliamo ovviamente del capolavoro dell’album Out of Time, perfetta fusione tra melodia e sperimentazione).
Think Tank è un mondo di suoni in cui i Blur si reinventano e mettono in pratica la loro capacità di estraniarsi dal mondo e trasformare questa situazione fluttuante cercando di mettere ogni tanto i piedi per terra, una terra che si chiama britpop che riesce a smorzare l'aria anti-gravitazionale generale dell'album. Ogni traccia dell’album disegna un panorama differente: siamo di fronte a piccole monadi conchiuse in se stesse, autosufficienti , piccoli universi di pensiero multilaterale e multiculturale che vanno a costituire una perla nel curriculum dei Blur. Suoni etnici che si fondono con beat elettronici e futuristici, che mostrano l’irrimediabile trivialità del senso musicale che nella sua immediatezza risulta autosufficiente ed efficace. Un viaggio sonoro che arricchisce, mai scontato, che può obiettivamente lasciare anche un po’ spaesati e fluttuanti. Al che uno si chiede: "Are We Out of Time?”.
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