I normanni Blut aus Nord sono sempre stati una delle realtà più sfuggevoli e criptiche della scena black metal europea. Poco o nulla si sa, ad esempio, dei membri che compongono il gruppo: di loro si conoscono solo i nomi d'arte, ovvero Vindsval (il fondatore) al quale si aggiungono W.D. Feld (tastiere e batteria programmata) e GhÖst (basso). Per il resto, non è facile reperire informazioni su di loro: non si sa che faccia abbiano, niente live o foto promozionali che li ritraggano per come sono realmente. Piuttosto, preferiscono ritrarsi come tre figure spettrali, disturbanti, senza una forma definitiva o riconoscibile, quasi come se provenissero da un'altra dimensione. Un mistero, il loro, che dura ormai da quasi 30 anni. E che ancora adesso contribuisce a creare un alone di fascino intorno alla band.
La loro proposta musicale non è propriamente semplice da inquadrare: per quanto la base sia indiscutibilmente black metal, i nostri, nel corso del tempo e degli album, hanno aggiunto elementi sinfonici, elettronici, industriali e persino noise. Una contaminazione sonora che ha permesso loro di ritagliarsi un posto di tutto rispetto all'interno del panorama estremo, in un periodo dove il black metal, specialmente negli anni '90, era delimitato da regole compositive molto rigide e severe, e ben poco era concesso ad aperture musicali o sperimentalismi di ogni sorta. L'uso della drum machine, inoltre, è un altro elemento distintivo dei francesi e che, inevitabilmente, divide il pubblico a metà, tra chi ammira la scelta del gruppo di infrangere i soliti schemi e chi invece resta scettico di fronte ad un simile approccio, definendolo "poco true".
Generalizzando un po', si potrebbe inquadrare la musica dei Blut aus Nord in due "anime" distinte, ma in qualche modo legate assieme: un'anima più epica e sognante, legata ad un black metal atmosferico e "classico" (si prendano in considerazione dischi come quelli della saga "Memoria Vetusta", il grezzo esordio "Ultima Thulée" o l'ultimo, psichedelico "Hallucinogen"), e un'altra più fredda, cibernetica e di stampo industrial ("The Work Which Transforms God", "Odinist" o la trilogia denominata "777" rientrano tra gli esempi più significativi, senza dimenticare i numerosi split ed EP che contribuiscono ad alimentare la loro già considerevole discografia).
Pubblicato nel 2009, "Memoria Vetusta II - Dialogue with the Stars" è, come potrete facilmente intuire, il secondo capitolo della saga concettuale che va sotto il nome di "Memoria Vetusta", ed è precedeuto da "Fathers of the Icy Age" del 1996 e seguito da "Saturnian Poetry" del 2014. Uscito per la Candlelight Records, l'album può tranquillamente essere inserito tra gli episodi più felici della formazione francese, che raggiunge qui livelli d'intensità emotiva e ispirazione compositiva notevoli.
Meno robotico e distaccato rispetto ai precedenti lavori, "Dialogue with the Stars" è un disco atmosferico e suggestivo, pregno di un'atmosfera invernale, fredda, ma a suo modo anche epica e sognante. Il suono delle chitarre è liquido ed avvolgente, dipinge un paesaggio naturale puro, incontaminato, lontano dal caos metropolitano delle grandi città. Una Natura che regna sovrana, indisturbata, estranea all'agire frenetico dell'essere umano, come testimoniato dalla bella copertina.
Dopo la breve intro strumentale "Acceptance (Aske)", ovvero un minuto e mezzo completamente ambient, il disco parte a mille con "Disciple's Liberation (Lost in the Nine Worlds)", perfetto brano d'apertura che sintetizza al meglio quello che troverete lungo il corso delle 9 tracce che compongono l'album: un black metal spettrale ed atmosferico, arioso e freddo come l'aria di montagna che ti sferza il viso, ma che al tempo stesso ti fa sentire vivo e vegeto. Un pezzo mutevole e non immediato, contorto come un sentiero in mezzo al bosco, pieno di curve e ostacoli, ma che regala immagini e suoni di rara bellezza e suggestività. E dopo "The Cosmic Echoes of Non-Matter (Immaterial Voices of the Fathers)", che prosegue in maniera simile il percorso iniziato con la traccia precedente, si arriva all'intermezzo acustico "Translucent Body of Air (Sutta Anapanasati)", perfetto per rinfrescarsi e tirare il fiato dopo un tale inizio.
Si arriva così al cuore dell'album, dove, a parere di chi scrive, si trovano i due episodi migliori dell'intero lavoro: "The Formless Sphere (Beyond the Reason)" e "...the Meditant (Dialogue with the Stars)". Il primo, benchè si ricolleghi facilmente a quanto appena descritto, si contraddistingue per un finale cadenzato e solenne, quasi viking; il secondo, invece, è il brano più ragionato ed articolato del disco. Un mid-tempo deciso e potente, che non si concede ad accelerazioni improvvise o blast-beats torrenziali, ma che lascia il posto a stacchi acustici suggestivi che arricchiscono l'ossatura del pezzo, permettendo all'ascoltatore di immedesimarsi sempre più nel viaggio surreale che ha appena intrapreso.
Le tre tracce poste in chiusura ("The Alcove of Angels", "Antithesis of the Flesh" ed "Elevation") chiudono in bellezza l'album, portando l'ascoltatore, tra accelerazioni improvvise ed aperture melodiche ariose, alla meta finale del percorso, la cima della montagna dalla quale si può osservare tutto il paesaggio sottostante, da contemplare in silenzio e solitudine, mentre il vento accarezza la faccia e le stelle illuminano la volta celeste.
Se proprio si dovesse cercare il pelo nell'uovo, va detto che l'uso della drum machine, per quanto la sezione ritmica sia comunque impeccabile, non rende giustizia al 100%, visto che a tratti si percepisce il suono un po' "finto" del rullante e dei piatti; l'uso di una batteria acustica sicuramente avrebbe giovato, conferendo all'album un suono ancora più vivido ed avvolgente. Tuttavia, se si escludono alcuni passaggi leggermente sbrodolosi o forzati che fanno capolino ogni tanto qua e là in alcuni episodi (ricordate che i brani, in media, durano dai 6 ai 10 minuti), il valore del disco resta pressochè intatto, data la grande capacità del gruppo di creare paesaggi sonori maestosi e fuori dall'ordinario, capaci di trasportare l'ascoltatore in un altro mondo.
In definitiva, "Memoria Vetusta II - Dialogue with the Stars" è un disco imperdibile per chi cerca un black metal atmosferico, da meditazione o isolamento totale, lontano dai soliti clichè tipici del genere (niente satanismo o croci rovesciate, tanto per intenderci). Un lavoro che va assaporato con calma e con la giusta dose di pazienza, ma che saprà regalarvi grandi momenti. Perfetto per una fredda serata di febbraio, quando fuori tutto tace, gli alberi dormono e la luna argentea illumina, con i suoi raggi, sagome e confini nella notte buia.
Voto: 4,5/5.
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