Dopo 12 mesi impareggiabili nella storia del Rock, nel corso dei quali sono stati pubblicati, tra gli altri, “Sticky Fingers” dei Rolling Stones, “What’s Going On” di Marvin Gaye, “Who’s Next” degli Who e “Led Zeppelin IV”, nel 1972 il rock era maturo e dominava le classifiche degli album da quando, a partire dalla metà degli anni sessanta, i musicisti rock iniziarono a preferire l'LP al singolo. La scena musicale è in grande fermento e si moltiplicano le forme espressive racchiuse nel grande contenitore del rock: in Inghilterra esplode il fenomeno glam, in Italia e in Europa domina il prog, l’hard rock trova la sua consacrazione con un seguito di fans sempre più nutrito, la black music aggiorna continuamente il linguaggio musicale e il jazz rock emette i primi vagiti.
In questo fermento creativo, un Uomo (I am a Man …) di nome Otha Ellas Bates, alias Bo Diddley, noto anche come The Originator of Rock And Roll per il fondamentale contribuito profuso nei due decenni precedenti alla transizione dal blues al rock, registra il miglior disco del terzo decennio della sua carriera artistica, seppure all’epoca passò quasi del tutto inosservato. Del resto, quando tutte le band che avevano tratto insegnamento dal blues diretto e dai suoni tribali di Bo stavano innovando la formula e raccogliendo i frutti di tale processo, il nostro era ormai considerato una vecchia gloria obbligata a suonare solo i suoi storici successi.
Sono infatti 7 anni che Bo non riscuote un buon risultato commerciale, come avvenuto regolarmente nel decennio 1955 – 1965. La sua casa discografica ha provato a rilanciarlo nel 1967 con la pubblicazione di due lavori che, sulla scorta delle superband inglesi, riuniva, nel primo caso Muddy Waters e Little Walter (“Super Blues”) e, nel secondo Muddy Waters e Howlin' Wolf (“The Super Super Blues Band”). Falliti (commercialmente …) entrambi i tentativi, nel 1970 pubblica “The Black Gladiator” con uno stile rinnovato rispetto al classico blues elettrico di Chicago, innestando funk e blues psichedelico alla collaudata formula musicale dell’Uomo, ma l’accoglienza del pubblico non è quella sperata. Segue un ulteriore tentativo di restyling con la pubblicazione, nel 1971, di “Another Dimension” con il quale si cerca di ampliare il pubblico di Bo introducendo sonorità più soul strizzando così l’occhio allo stile Motown ma il tentativo, in questo caso, è infelice.
Con la pubblicazione di “Where It All Began” c'è, quindi, un parziale ritorno al passato: l'album ripropone le sonorità funk di Black Gladiator, un po’ di soul e, in almeno un paio di tracce, ritroviamo addirittura il caro vecchio Bo con brani in cui la chitarra diventa un elemento a percussione con il ritmo che ruba la scena all’armonia. Del resto il nostro è diventato famoso per brani che spesso non hanno cambi di accordo, il che vuol dire che i musicisti suonano lo stesso accordo lungo tutto il pezzo e, a farla da padrone, è il Groove che solo la gente che si è formata tra il delta del Mississippi e Chicago sa tirar fuori.
Come detto, un paio di tracce – la prima “I've Had It Hard” e l’ultima “Bo Diddley-Itis”, entrambe composte dal solo Ellas – sono dei veri e propri standard alla Bo Diddley. Riprendono, inoltre, un vizietto dell’Uomo: utilizzare il nome d’arte nel testo, anzi, nella maggioranza dei casi lo ha infilato anche nel titolo: “Bo Diddley”, “Diddley Daddy”, “Hey Bo Diddley”, “The Story Of Bo Diddley”, “Bo’s Blues”, “Bo Diddley Is Loose”, … e, quindi, niente di nuovo, ma riascoltare il Bo Diddley beat è sempre un piacere, certo ci sono chitarristi più bravi e virtuosi di Bo, ma a The Originator basta un solo accordo per riuscire ad agitare gli animi fino all’ossesso, anche se, a onore del vero, “Bo Diddley-Itis” si conclude con un assolo al fulmicotone.
Con “Woman”, però, entriamo in piena atmosfera anni settanta e già le prime note ti riportano ad una sala di biliardo fumosa e malfrequentata di uno slum statunitense. È una gran blues dal riff di gusto seventy, in questo caso sono i giovani debitori a ripagare in parte il maestro che trae ispirazione dai suoi adepti. “Look At Grandma”, ed “A Good Thing” sono impreziosite da fantastici cori con la voce di Bo che passa decisamente in secondo piano. La prima, inoltre, con un testo che sembra scritto oggi (a firma di due donne …, la corista Connie Redmond e la moglie di Bo dell’epoca Kay) e che, penso, prenda di mira il giovanilismo: “Nonna, nonna, cosa stai cercando di fare? Nonna, nonna, ti stanno guardando tutti - Ha parcheggiato una Rolls Royce ed è saltata su una minimoto - Non passò molto tempo prima che la nonna fosse quasi scomparsa - È andata nel posto dove gli adolescenti si ritrovano”. Sorprendente per l’epoca, soprattutto se indirizzato ad una donna ma, del resto, “Il Laureato” era uscito nelle sale cinematografiche già nel 1967 e Mrs. Robinson doveva aver fatto scuola!
“Hey, Jerome” è una jam di due chitarre indiavolate che non brilla per originalità ma che si fa ascoltare con piacere; “Infatuation” un pezzo soul che smorza i toni e che ti proietta a bordo piscina attorniato da gente con pettinature afro che dondola sul posto con aria fighissima; “Take It All”, forse la più debole delle tracce, è un funk orecchiabile che, comunque, si distingue per un bell’intreccio di chitarra e basso. Ma la mia preferita del lotto è “Bad Trip”, un funk, acido fin dal titolo, con un cantato che a me ricorda Jimi Hendrix ed un assolo di chitarra spettacolare, giusto per chiarire che l’Uomo è un virtuoso della sei corde con più di una nota nel manico della Gretsch Cigar Box!
Il lavoro si distingue, quindi, per la presenza di brani di diversi stili sotto l’ombrello del blues-rock e scorre piacevolmente fino alla fine. Sfortunatamente non era questo ciò che ci si doveva aspettare da Bo, l’opinione pubblica lo aveva relegato a sacerdote del ritmo latino-caraibico-afrocubano e non gli era consentita alcuna divagazione, anche se il periodo era denso di grandi novità.
Seguiranno anni di oblio ma, fedele alla carica che la storia gli ha riservato, la sua influenza continuò a farsi sentire e, sul finire dei settanta, quando il punk riportò il rock alle origini di immediatezza ed energia, la connessione più ovvia fu quella con The Originator tanto che, nel 1979, i Clash lo contrattarono per aprire i propri concerti.
“Where It All Began”, se pubblicato tra il 1972 ed il 1975 da 5 ragazzotti inglesi con i capelli lunghi ed i vestiti da pirata, probabilmente avrebbe avuto miglior fortuna. Certo non è un master pièce, ma ascoltato oggi, seppure rivela genuinamente l’epoca in cui è stato registrato (e per alcuni, questo potrebbe essere un pregio) resta un gran lavoro: tre pallini tutti e, per gli amanti del genere, un disco da avere. Anche la copertina risulta essere datata e agli occhi dei più giovani, dalla grafica incomprensibile. Ma, basta immaginare di aggiungere un fumetto con la scritta: “… un Guitar Hero si staglia tra i grattacieli della tentacolare Chicago …” ed aggiungere il logo Marvel Comics perché tutto torni a posto: siamo nei seventy baby!
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