Si entra calibrando il passo, spostando a poco a poco un piede dopo l'altro, rigorosamente scalzi, fiutando l'importanza dell'evento cui si assiste. Poi ci si ridesta, si raccolgono i pensieri, ci si sposta un passo indietro, cercando un luogo defilato, quasi a prender coscienza dell'inadeguata posizione che si ricopre.
Questa è l'immagine che una San Francisco trasfigurata offre ad un primo sguardo. Non c'è alba né tramonto. La luce solare non ha sorgente, è sospesa, rarefatta, quasi a testimone del limbo che incombe.
Ma non è la retorica luce crepuscolare che qui viene evocata. L'oblio al quale si tende lo sguardo è fatto di luce intensa, di infinita brillantezza, di un'afa algida. Un'estate polare che condanna senza appello.
Se fin qui i toni sembrano sfiorare una sorta di demagogia apocalittica forse non si ha ben chiaro da dove questo "Tomorrow's Harvest" prenda battesimo.
Partendo dallo scorso marzo, seguendo un effetto domino quasi inarrestabile, il duo scozzese ha cominciato a diffondere notizie concrete riguardanti un quarto album in studio. Dalla pubblicazione di "Reach for the Dead", l'onda d'urto è stata capace di coinvolgere tanto l'ultimo Record Store Day quanto diversi Stores indipendenti tra Irlanda e Regno Unito.
Tenendo ferma la convinzione che l'anima del commercio regna e smuove anche (e soprattutto) in tempi di file sharing esasperato, i due hanno un'idea brillante: giocare con il proprio pubblico, sfidandolo a decifrare messaggi lasciati in rete. E "giocare", in questo caso, assume tutta la sua ambivalenza. Perché se da un lato si scade facilmente nel "prendersi gioco", dall'altro si attesta il rapporto di amicizia e fedeltà che si è creato con la schiera di aficionados che da anni segue la band.
Il climax viene raggiunto lo scorso 27 maggio. I Boards of Canada, dopo un tweet alquanto criptico, si esibiscono nel deserto californiano in un Listening Party del materiale che andrà a confluire nell'album in arrivo.
L'attesa per il lavoro viene alimentata ulteriormente dopo l'annuncio del live streaming sul proprio canale youtube. Strategie di marketing che stanno facendo scuola in questi anni.
Ed è qui, in questo contesto, che l'introduzione fatta acquista senso. La trasfigurazione di una città all'orizzonte diventa tanto un sacro artefatto quanto il simulacro delle inarrestabili regole del nostro tempo. Il nasci-consuma-crepa diventa il male che attanaglia l'uomo e l'ambiente che lo circonda, ma al contempo è il bozzolo che ne permette la sopravvivenza. Ed è con questo rimorso che si è costretti a convivere. La luce che vediamo in copertina può ammaliarci, addormentarci, ma dev'essere anche in grado di ridestarci, di farci fare il passo indietro necessario a riflettere su quanto vediamo. Può esser alba quanto tramonto.
Nelle 17 tracce che compongono questo lavoro il tema viene svolto seguendo una specifica problematica ambientale, ben espressa nel documentario "Deadly Harvest" del 1977. Alcuni dei titoli sono indice di quanto il lavoro se ne faccia carico ("New Seeds", "Cold Earth"). Ma è la musica stessa a farne da testimone. "Gemini", traccia d'apertura, è introdotta da un piccolo stacco musicale, quasi a ribadirne la natura di largo consumo, la finalità commerciale. Il salto nel baratro è a pochi passi: ci si tuffa direttamente in bassi fatti a pezzi da un ping pong delay aperto fino allo stremo, prima di adagiarsi su un arpeggiatore up-down (anch'esso gradualmente inglobato in un crescente effetto delay). Tutto questo per spalancare le porte alla già citata "Reach for the Dead", singolo etereo che mostra una bellezza con pochi paragoni. L'album scorre nella sua ora d'ascolto e lascia notare quanto i due scozzesi si siano staccati anche da alcune cifre stilistiche del passato. A differenza di episodi precedenti, qui le composizioni sembrano esprimere delle vedute panoramiche, rimanendo statiche, oscillanti, fluttuanti. Non c'è uno sviluppo progressivo: è la stasi a dettar legge. In alcuni punti sembra far capolino l'Eno di "Music for Airports", in altri è la techno più minimale a mostrare la via. L'estetica downtempo viene onorata a pieno titolo, il livello di queste tracce si staglia su quanto abbiano potuto fare i vari epigoni negli anni. In "Jacquard Causeway" i colpi di rullanti con un ritardo sull'attacco danno l'esatta cifra di quanto sia la cura del dettaglio, la capacità di sapersi muovere con software e hardware di larga diffusione, il tocco inaspettato, a fare davvero la differenza. "Cold Earth", con le sue ritmiche " spezzate, è un vero e proprio gioiello di techno-ambient, i pad synth di "Sick Times" e "Come to Dust" creano un affresco di ampio respiro, la cassa possente di "Palace Posy" scandisce un incedere quasi marziale.
Ma il vero capolavoro del disco è la multiforme "Nothing is Real". Gli strati che compongono questo pezzo sono così variegati e fusi da lasciare disorientati: ad ogni nuovo ascolto il brano sembra prender un'altra fisionomia, adattandosi alla percezione che se ne privilegia. I suoni, rumori e fraseggi che circondano l'ascoltatore rimangono sospesi a mezz'aria, quasi in attesa di esser afferrati, captati, seguendo strane logiche gravitazionali.
A chiusura del disco viene lasciata "Semena Mertvykh" ("seeds of the dead"): l'ineludibile avvicinarsi della falce, il punto di non ritorno che dà nuova vita e linfa a quanto seguirà. Il raccolto di domani poggia sulla morte di quanto lo ha preceduto, in un eterno passaggio del testimone. Allo stesso modo i Boards of Canada mantengono un piede in quanto sono stati, preparando lo slancio per quanto quest'album lascia intravedere.
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