Ebbene sì. Ancora una volta il vecchio bastardo ci ha presi tutti per il culo. E potevo forse esimermi dal recensire la nuova presa per il culo del vecchio bastardo?

L'ultima volta era successo due anni fa, col film evento distribuito solo su Netflix Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story by Martin Scorsese: presentazione in pompa magna del nuovo documentario dylaniano di Scorsese, a quattordici anni dallo storico No Direction Home, con accesso esclusivo a chissà quali materiali inediti mai visti, intervista esclusiva a Dylan ecc., e poi soltanto alla fine, vedendolo, abbiamo scoperto che il vecchio bastardo, con la complicità del geniale regista, aveva architettato un mezzo mockumentary volutamente pieno di bugie, mistificazioni e storie inventate di sana pianta, con tanto di materiali d'archivio abilmente contraffatti e personaggi di fantasia interpretati da attori. Tutto sommato un bel pezzo di cinema postmoderno del tipo che Dylan insegue fin dal disastroso Renaldo & Clara (un progetto concepito assieme alla tournéè del Rolling Thunder e ad essa legato, proprio come il film di Scorsese) e che il pasticciatissimo Masked & Anonymous non aveva saputo essere.

Ora il vecchio bastardo l'ha fatto di nuovo. Ci ha propinato una sua nuova straniantissima incursione nel mondo della settima arte, e per carpirci con l'inganno il costo del biglietto (virtuale) ce l'ha spacciata - udite udite - per un concerto in streaming. Il grande ritorno live dopo l'interruzione forzata dell'ormai trentennale Never Ending Tour causa pandemia da Covid-19. Niente di più falso. Ma anche questa ennesima presa per il culo noi poveri dylaniati di ferro, impazienti di riveder performare sul palco il nostro ottuagenario beniamino, l'abbiamo scoperta dopo. Certo il trailer avrebbe potuto indurci in sospetto: pochi secondi in bianco e nero con il vecchio bastardo che cantava Watching the River Flow circondato da una band mascherinata e da un assembramento danzereccio d'altri tempi. Ma magari era solo un trailer.

E invece cosa ha fatto il vecchio bastardo? Ha radunato per l'occasione una band nuova di zecca, e coi suoi cinque nuovi compagni di viaggio (Alex Burke, Janie Cowan, Joshua Crumbly, Shahzad Ismaily e Buck Meek) ha selezionato tredici canzoni del suo repertorio storico (si va dal 1965 di Bringin' It All Back Home al 1989 di Oh Mercy) e le ha smontate e rimontate mettendo a punto, come sua abitudine consolidata, altrettanti arrangiamenti completamente inediti, stranianti, spesso minimali, senza batteria, tutti basati su chitarre, contrabbasso, fisarmonica e la classica armonica a bocca. I tredici brani così reinventati sono stati accuratamente incisi in studio, e ne sono stati realizzati altrettanti videoclip autonomi, girati con la classica tecnica dei videoclip musicali, cioè con cantante e musicisti filmati mentre mimano l'esecuzione del brano e poi montati con l'audio della traccia studio. I tredici videoclip sono stati montati in sequenza ottenendo un film di cinquanta minuti, ed è né più né meno quello che abbiamo visto. Il grande ritorno live un paio di palle.

Eppure Shadow Kingdom, come prodotto audiovisivo, merita. E merita parecchio. E merita non solo per la musica, che è di altissimo livello come il vecchio bastardo ci ha ben abituati negli anni (e l'incisione in studio conferisce al tutto una pulizia e un'accuratezza sonora ed esecutiva cui negli ultimi anni i veri live di Dylan non potevano più ambire, ammesso che ci avessero mai provato), ma anche e soprattutto per l'aspetto prettamente visivo. Dylan, avvalendosi del talento della regista israelo-americana Alma Har'el (già artefice di video musicali per band quali Beirut e Sigur Ros), crea tredici bizzarri ma affascinanti quadretti in un intrigantissimo B/N che - come hanno osservato praticamente tutti gli spettatori e critici che ne hanno scritto sulla stampa online - sembrano rimandare direttamente all'estetica weird di certo David Lynch.

L'accostamento non è azzardato: il contrasto tra i cinque compassati musicisti, sempre rigorosamente muniti di ingombranti mascherine, e gli avventori di fumosi locali da periferia americana che fumano, bevono e ballano sfrenatamente tutto attorno agli spaesati performers, spesso rubando loro la scena e il focus delle inquadrature, non potrebbe essere più straniante, così come follemente destabilizzante è la tiratissima esecuzione blues-rock di I'll Be Your Baby Tonight, in cui un'inquadratura fissa e ravvicinata mostra Bob cantare e suonare fiancheggiato da due procaci donzelle che per tutto il tempo guardano fisso in macchina e ogni tanto gli spolverano con le dita le spalline della giacca, mentre la lugubre e minimalissima versione di Tombstone Blues, rallentata oltremisura e trasformata in un'ancor più spettrale cugina di Ballad of a Thin Man, complice un indecifrabile setting fatto di tende alle pareti e pavimento a scacchi bianchi e neri sembra uscita direttamente dalla Loggia Nera di Twin Peaks. Nota di merito per una bellissima e sentita versione del classico Forever Young cantata a voce spiegata - e con un'apertura melodica di cui Bob sembrava incapace da anni - da un Dylan ripreso in solitaria con la sua chitarra acustica su sfondo nero e il resto della band sfocata in lontananza, come affacciata da un varco aperto sul buio.

Shadow Kingdom, in sintesi, è una presa per il culo. Ma di quelle fatte bene, di quelle che da quasi sessant'anni ci fanno voler tremendamente bene al vecchio bastardo. Shadow Kingdom sarà disponibile oggi per l'ultimo giorno sulla piattaforma Veeps, a un prezzo che - francamente - non vale la spesa. Non per una presa per il culo. Ma le vie di circolazione più o meno lecita del materiale dylaniano sono infinite: stiamo parlando pur sempre dell'artista che ha ispirato l'invenzione dei bootleg. Shadow Kingdom si potrà sicuramente vedere e ascoltare ancora, per vie traverse, da qualche parte sul web e fuori. Per il vecchio bastardo ne vale la pena.

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