Lascio ad altri, perchè non ne sono capace, di classificare in ordine d'importanza i capolavori di Bob Marley. Quello delle classifiche su quale sia il miglior album di un artista, è un giochino sciocco e fine a sè stesso. In tanti ci hanno provato, e con Marley spesso si è rischiato di sfiorare la rissa: "Burnin" è meglio di "Rastaman Vibrations"?, "Uprising" è meglio di "Survival"? Ecco, vedete, ognuno potrebbe dire la sua, e non se ne uscirebbe più fuori.
Il mio preferito è "Exodus", uscito nell'anno di grazia 1977. Non ho ricordi circa l'uscita dell'album (avevo solo 2 anni, se permettete), ma ho ricordi lucentissimi circa la maestosità e la sfarzosità di questo ineguagliabile capolavoro che, a pari, non ha nulla da invidiare ai grandi album made in Usa di metà anni Settanta. I tempi in cui si esaltava la 'febbre del sabato sera' e il mito della dance music (fracassona, ripetitiva, noiosa, adolescenziale), Bob Marley ci regala una perla discografica che difficilmente, dopo il primo ascolto, si riesce a dimenticare.
"Exodus" viene, per la prima volta, interamente registrato agli Island Studios di Londra, e la band che di solito accompagnava Marley nei dischi e nei concerti subisce un lieve scossone: alle percussioni si aggiunge Alvin Patterson, un vecchio amico di Marley, mentre esordisce alla chitarra Julian Murvin. La musica si fa più intensa, più cadenzata, se volete più martellante: solito sfoggio di grande esperienza giamaicana, cori indispensabili e una scelta precisa fin dal primo brano: risultare maledettamente commerciali pur non rinnegando classe e sostanza. Quello che, purtroppo, non hanno saputo fare in molti.
E maledettamente commerciali sono brani come "Natural Mystic" o il crescendo finale davvero notevole di "One Love/People Get Ready". Per radio passa soprattutto il singolo trascinante "Jammin", più coeso e compatto del comunque ottimo "No Woman No Cry".
Discorso a parte meritano i quasi 8 minuti di "Exodus", indemoniato ska che portò Marley in vetta a tutte le classifiche mondiali e lo consacrò, se mai ce ne fosse stato bisogno, incontrastato re della musica rasta.
D'altronde, "Exodus" non poteva che essere un capolavoro: dalla copertina spuria e semplice, al doppio significato di 'esodo': la lontananza degli eredi degli schiavi dall'Africa (e forse è questo il significato più corretto), all'esodo personale di Marley che fu costretto a trasferirsi a Londra dopo essere stato vittima di un attentato subito durante una campagna elettorale in Giamaica.
Non so poi se effettivamente "Exodus" sia il miglior album di Marley, forse è il suo più famoso, di certo contiene brani memorabili, ma è senza dubbio l'ultimo tassello prima della fine. Perchè se è vero che dopo questo album Marley registrerà ancora altri dischi (tra cui il capolavoro "Uprising") è anche vero che è con "Exodus" che iniziano i guai di salute che porteranno Marley alla precocissima morte: dopo l'uscita dell'album Marley scopre di avere un cancro, i medici gli dicono che per curarlo si deve amputare un dito del piede, Marley rifiuta l'operazione perchè contraria alla cultura rasta. Riuscirà a vivere ancora per altri quattro anni, ma fu da quell'infausta decisione di non venire operato che cominciarono i guai per Marley: la morte non è mai una bella cosa, ma essersene andati a soli 36 anni è stato un modo come un altro per entrare nel mito e nella leggenda. Peccato che, nel mito e nella leggenda, Marley c'era già da vivo.
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