Morto da ormai venticinque anni, Bob Marley pulsa ancora dagli stereo, dalle autoradio e dagli ipod di milioni di appassionati sparsi per il mondo: non so se la vitalità della sua musica dipenda dal tipico mood del reggae, del suo recupero degli antichi tribalismi, del suo miscuglio di tradizione e modernità, del suo andamento ipnotico, o dall’abuso che si è fatto del personaggio Marley e dei valori di cui era portatore: tirato per la collottola dai terzomondismi, dai sincretici, dai libertari, dai piccolo borghesi che affollavano i suoi concerti nell’Europa dei tardi anni ’ 70, dai nostalgici, dai pubblicitari, dai viziatelli e da mille altri ancora. Tant’è.

Io personalmente l’ho scoperto perché, ascoltando Police, Clash, Rush, Steely Dan, 10CC, Led Zeppelin, Ivano Fossati, Loredana Bertè, Antonello Venditti e molti altri ancora sono stato invogliato a scoprire le radici di quel reggae che ormai un trentennio addietro aveva lasciato le sue tracce in migliaia di incisioni di gruppi ed artisti non riconducibili all’area jamaicana. Le ragioni della forza di Bob Marley – e degli Waylers che tanto hanno contributo ad innervare le sue intuizioni, sono ben espresse dal suo capolavoro "Natty Dred" (’75), album che meglio definisce il passaggio dal grezzo e viscerale sound delle origini alle più raffinati produzioni degli anni successivi, quelli della svolta commerciale, politica e quant’altro.

"Natty Dread" è l’album di Marley & the Waylers che meglio descrive il feeling del gruppo, in forza di composizioni dilatate, in cui le ritmiche in levare del reggae si dilatano in continui viaggi sonori, in cui la voce solista di Bob e quella dei cori femminili che lo accompagnano si alternano in vorticose melodie, in cui basso e batteria innervano ogni singolo pezzo con la loro andatura sincopata.

Sarebbe inutile descrivere l’album traccia per traccia, trattandosi di un unicum insolubile di cui consiglio l’ascolto senza inutili interruzioni: basti menzionare, in questa sede, l’iniziale "Lively Up Yourself", con i continui interscambi fra voce e ritmi, l’incisiva "Rebel Music", la trascinante "So Jah Seh"… anche se nessun pezzo scolora rispetto agli altri. "No Woman No Cry", brano più famoso di Marley, spicca forse per enfasi emotiva, ma non è, in questo contesto, il tipico brano killer che mette in ombra i restanti.

La musica di Bob Marley mal si presta a raffazzonate e speculative antologie. Ascoltatela bene, a partire da qui.

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