Dici Bob Mould e subito pensi che quella voce ti travolgerebbe anche leggendo la lista della spesa e che il suono della sua chitarra ti brucerebbe il cuore anche nell'esecuzione di «Fra' Martino Campanaro».
Dici Bob Mould e subito pensi all'epopea degli Husker Du.
Dici Bob Mould e subito ti vai a comprare «Beauty & Ruin», perché ci sono dischi da acquistare a scatola chiusa fregandosene del rischio di rimanere delusi.
Chi temeva di rimanere deluso magari due anni fa evitò di portarsi a casa il bellissimo «Silver Age» e mal gliene incolse, al pavido, perché con quel disco Bob riscattò alcune prove non proprio convincenti e tornò a suonare puro e semplice, fottutissimo rock'n'roll con l'energia e la passione degne degli ultimi Husker Du, per intenderci quelli di «Candy Apple Grey» e di «Warehouse».
Oggi «Beauty & Ruin» supera in bellezza «Silver Age», pur essendo ancora e per fortuna niente altro che puro e semplice, fottutissimo rock'n'roll.
È vero che i tempi di «Hardly Getting Over It» e «These Important Years» sono passati e non torneranno più, ed è un bene che sia così, ma il pregio più evidente di «Beauty & Ruin» è quello di non dar adito a rimorsi e nostalgie. Anzi, forse i tempi degli Husker Du nemmeno ti vengono in mente, ascoltando «Beauty & Ruin», perché nessuna delle canzoni che lo compongono sembrerebbe uscire da un loro disco, e ciò lo intendo come un merito da ascrivere a Bob; sarebbe patetico, al contrario, voler raccontare la solita vecchia storia, ventisette anni dopo che quella storia è stata sepolta.
E se ventisette anni vi sembrano tanti, significa proprio che siete diventati vecchi e probabilmente non riuscite a concepire come un uomo con barba bianca e capelli bianchi diradati da una discreta calvizie, miopia conclamata, guanciotte cadenti e rughe sparse qua e là, possa realizzare un disco talmente dinamico e coinvolgente.
Noi giovani, al contrario, lo sappiamo bene come tutto ciò sia possibile. È che quell'uomo è pervaso dal sacro fuoco del rock'n'roll, quello che ti ustiona dentro e che non spegne nemmeno la morte.
Badate, cari vecchietti, che qui non stiamo parlando di un Mick Jagger qualsiasi che a settant'anni se ne va in giro a raccontare la solita vecchia storia di cui sopra, ché da quelle parti il sacro fuoco è spento da decenni e pure la cenere è stata spazzata via.
Qui, io ed i giovani come me, stiamo urlando che la storia è tutt'altra, quella di Bob Mould e di un disco straordinario qual è «Beauty & Ruin».
Straordinario, per la capacità di condensare in mezz'ora tante di quelle emozioni che non trovi nemmeno in una delle odierne deluxe edition di 5 cd. E comunque, non è mica obbligatorio stipare all'inverosimile un cd solo perché può contenere fino ad ottanta minuti di suoni; un cd non è mica un autobus del dopoguerra dove il bigliettaio fungeva da buttadentro al grido di «Avanti, c'è posto».
Straordinario, perché Bob Mould getta definitivamente la maschera, ed altro che hardcore, altro che punk, qui c'è solo la voglia fremente di comporre canzoni e melodie destinate a durare, e che magari qualcuno possa fischiettare sotto la doccia, radendosi o guidando sulla strada verso il lavoro. E non dite che non lo sapevate, perché «Turn It Around» la conoscevate già: suonavano power pop gli Husker Du, figuratevi se suona qualcosa di diverso Bob. Poi, che la melodia sia nascosta dietro un imponente muro di suono è una quisquilia che non muta la sostanza delle cose, e se date un ascolto ad «I Don't Know You Anymore», domani sotto la doccia avrete un buon modo per ingannare il tempo.
Straordinario, perché «Low Season» è Neil Young di altissima scuola proprio quando Neil Young rilascia una di quelle vacuità che ciclicamente annunciano il prossimo capolavoro; perché «I Don't Know You Anymore» è una ballatona alla Ramones, e venderesti l'anima al diavolo per sentire che effetto farebbe cantata da Joey; perché «Fire In The City» sono i Mega City Four ed il pop punk prima che il pop punk fossero i Green Day. E sorge il dubbio se sia Bob Mould ad aver tratto ispirazione da tutti loro o viceversa; in ogni caso straordinario.
Straordinario, perché «The War» è la canzone dell'anno ed aspira ad entrare nel ristretto novero delle canzoni della vita; perché racchiude tutta la semplice perfezione del rock'n'roll, intro-strofa-strofa-bridge-assolo-strofa-outro; e l'intro ha la medesima potenza di quello di «Cretin Hop», ed è così senza dubbio perché la cover di «Sheena Is A Punk Rocker» è stato l'ultimo segno di vita discografica degli Husker Du, quindi nemmeno ci provate a discutere.
Straordinario, perché il giovane Mould con i capelli ispidi, lo sguardo al suolo e la sigaretta tra le labbra ritratto in copertina, ha ereditato quel mozzicone direttamente da Ian Curtis e Joe Strummer.
Straordinario, perché «Beauty & Ruin» pone un solo interrogativo, quello della scelta di campo.
Voi da che parte state, al Circo Massimo al concerto dei Rolling Stones o sotto la doccia a cantare a squarciagola «I Don't Know You Anymore» e «The War», mimando i riff con la vostra inossidabile air guitar?
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