Con il tempo, ho sviluppato quasi un'ossessione nei confronti della costruzione della colonna sonora ideale per la mia miserevole vita.L'eventuale film che ne risulterebbe sarebbe senza dubbio fecale, ma una cosa su cui i critici non potrebbero mai e poi mai trovare da dire - modestamente - sarebbe l'accompagnamento musicale da me selezionato. Una manciata di dischi più o meno maestosi a fare da sottofondo ad un susseguirsi di azioni alla meglio banali, alla peggio stupide, comunque triviali. Sunset Mission lo metterei quando salgo in macchina in una sera d'inverno, alla volta di un viaggio pressochè infinito lungo le autostrade inghiottite dal buio. All'incirca due o tre orette dopo il paesaggio metropolitano crepuscolare raffigurato nella copertina.

Sunset Mission vede la luce a cinque anni di distanza dal precedente Midnight Radio (Epistrophy, 1995), periodo durante il quale i B&DCOG affronta un cambiamento radicale che condizionerà tutto quello che andranno a fare in seguito. La defezione del chitarrista Reiner Henseleit, sostituito dal polistrumentista - ma soprattutto sassofonista - Christoph Clöser, contribuirà difatti a rompere definitivamente quei (pochi) legami che il suono del gruppo ancora manteneva con le radici doom degli esordi, innescando una più decisa virata verso un dark jazz quasi badalamentiano - non Gaetano, l'altro! - (privato però delle impennate emotive che caratterizzano la produzione dell'autore di alcune delle colonne sonore più memorabili di sempre), parente alla lontana dei Supersilent più riflessivi.

La struttura dei pezzi si fa rarefatta ai massimi livelli, con chiari riferimenti agli esperimenti di John Cage nell'importanza data all'assenza stessa del suono, qui più che mai parte del codice espressivo del quartetto. L'equilibrio tra gli strumenti rimane intatto e invariato per tutta la durata del disco, tra i tappeti di tastiere, i beat ben oltre il concetto di downtempo della batteria spazzolata ed gli accordi costanti del contrabbasso, in una lunghissima jam che scivola via come la notte. In questo contesto il punto di riferimento rimane il sax tenore di Clöser, che con le sue linee cupe riesce da solo a conferire al disco la sua peculiarissima atmosfera noir - aggettivo che ricorre ogniqualvolta si nomini questo disco, e non a caso.

Perchè questo disco mi fa venire in mente -più che il periodo d'oro del noir cinematografico, per intenderci quello di Bogart per intenderci - il crepuscolo del noir dipinto magistralmente da Robert Altman nel magistrale The Long Goodbye (Il Lungo Addio, 1973), libero adattamento cinematografico dell'omonimo libro di Chandler. Se Altman celebrava fuori tempo massimo la fine di tutto un modo di fare cinema rivisitando gli stilemi del noir in auge trent'anni prima, i Bohren & Der Club Of Gore creano la colonna sonora perfetta per tale epilogo, con quasi quarant'anni di ritardo.

Davanti agli occhi ho proprio il Marlowe di Elliott Gould, un personaggio figlio di un'epoca - i fumosi Anni '30 americani - in cui il torbido non è ancora ecumenico (seppure latente anche nel cuore degli stessi "buoni"), un eroe suo malgrado sbattuto in un mondo - la Los Angeles post-hippie dei '70 - che ormai nel marcio ci sguazza. Da qui l'impossibilità di Marlowe di essere integrato nell'ambiente in cui si muove, finendo per vagare alienato come un moderno Don Quijote - l'archetipo del disadattato. Un po' come questo disco, oserei dire unico nel suo genere. Lo vedo mettere su Sunset Mission e scolarsi una bottiglia di brandy accompagnata da un pacchetto di Camel, nella solitudine della notte americana. Lo vedo perdersi e non tornare mai più sui suoi passi, sancendo una volta per tutte la fine di un'era. Mi perdonerà, se mi son permesso io, un signor nessuno, di scegliergli la colonna sonora finale - ma in ogni caso credo che gradirà, perchè finchè continuerà ad ascoltare questo disco non smetterà mai di fumare, e nemmeno di bere.


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