Un nuovo cd per le icone della musica desertica, che sinceramente con le ultime uscite non mi avevano fatto fare sti gran salti mortali. Ma senza indugio posso dire che hanno sfornato il miglior cd dai tempi di "Gateway".
Per chi non lo sapesse, il genere proposto è un misto tra doom e blues (di questo c'è solo un'influenza, come nei migliori black sabbath), una voce che definire tombale è poco, venature sludge e drone qua e là -molto ben amalgamate col resto bisogna dire- , il tutto condito con quantità astronomiche di thc. Questo è, in sostanza, lo stoner.
Artwork scarno e minimale, in pieno stile cannabinoide come da tradizione, ma di sicuro impatto, e in perfetto abbinamento col titolo del disco. Play: l'opener nonchè title-track parte con un riffaccio a metà tra i black sabbath più sporchi e un campo di ganja, che fa presagire un disco tra i più ossessionanti, morbosi, svarionanti che il gruppo abbia mai composto. Una produzione grezza come lo stile comanda, impastata ma allo stesso tempo chiara, che non interferisce con l'intelligibilità del lavoro. E la recensione potrebbe tranquillamente concludersi qui, dato che il bello di questo lavoro è proprio il suo basarsi sulla ripetitività e sull'ossessività dei riff.
Vero gioiello di attitudine è l'intermezzo di "Stonesphere", in cui "per le vie del disco, dal ribollir del bong, va l'aspro odor di cannabis l'anime a trucidar".
Ripeto: il miglior disco dai tempi di "Gateway", non certamente storico ma che probabilmente verrà ricordato per un altro pò di tempo.
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