In questo mondo devastato da insulse metriche discorsive di matrice I-Phone/visiva, dove rappettari milanesi scampati al mondo del lavoro de-costruiscono la propria esistenza sull'oramai usurato organo sessuale femminile, nascondendo invano alla popolazione italiana la loro inumana impotenza, qualcosa, dal profondo, scuote le viscere, e ritorna profeticamente alla seviziata quanto stoneggiante memoria.

Di questo dolcissimo aborto, percepisco il colorito verdognolo.. e l'aroma, che pulsanti, rendono l'aria densa come mattoni di Ganja spaziale, deleteria.

Corrosiva.

Dieci anni fa, usciva Gateway (2002, Relapse), composizione culturalmente esoterica quanto dopata, la cui entità avrebbe dato il via ad un ciclo che per almeno altri otto anni, comportò la degna riscoperta e celebrazione di un genere come quello stoner-metal, attualmente tanto, ma tanto, ma tantissimo, bistrattato da banducole simil-pretenziose, e non certo ugualmente meritevoli.

Mi chiedo spesso, cosa ebbe a pensare Wendy Schneider, producer di questo succulento abominio greeneggiante, una volta ascoltati, monolito dopo monolito, i sublimi 8 brani che il disco in questione fatica a contenere nella sua fisicità.. manco fosse materiale siriano radioattivo. Beh, credo che di certo, come diceva un certo Bill Hicks, una delle potenziali riflessioni, possa essere: "Case, fuckin', close!". 

Sì, perchè c'è poco da fare. Quì si parla di distorsioni amorfe, lussureggianti come piantagioni marijuaniche di stampo titaneggiante, di montagne di valvole, e valvole, e ancora valvole, su montagne di altre valvole.. Bongzilla. Un nome, e una garanzia bicentenaria. Un nome, tonante come la bastonante voce di Viracocha, iracondo come un Fuzz indemoniato e istigato alla delinquenza onirica. E sono cazzi amari, cari "randagi" jersey-shoreari da quattro copeche.. Nemmeno la peggior gangrenosa lampada da lettino, potrebbe farvi neri, o meglio, VERDI, come "Greenthumb", sessione prima di una litania settanteggiante quanto oscura. E che dire, cari "zarro-ganti", di cosette come "666lb. Bongsession"? Flow, stiloserie varie da giocheria, tatuaggi sessualmente ambigui e quant'altro, verrebbero letteralmente estirpati dalle carni vostre, se solo poteste rivolgere verso i vostri stessi autistici timpani l'anarco-satanismo regnante di brani atomici come questo: 7 minuti e 55 secondi di annientamento corporeo impareggiabile. Vibrazioni, vibrazioni, e ancora vibrazioni... farebbero crollare muraglie, discoteche, e merdosissime zone privè di qualsivoglia bettola milanese del decadente (quanto prossimo all'est-inzione) genere umano. E ancora una volta: "Case, fuckin', close!". E via-andare, con 'batuffoli' basaltici come "Trinity", brano quinto, la cui presa d'atto non potrebbe che far semplicemente evaporare qualsiasi drinkucolo da consumazione-obbligatoria (?) post-consumistica, dopo aver prosciugato 'soltanto' gli oceani tutti!

Ah, proprio, non credo trovereste parole in rima. No.

Ed infine "Gateway", brano sesto. concessionario del titolo di questo oggetto discoidale senza fine. Overdose di riff torrenziali, sgraziati ma pesantemente composti, in un piacevolissimo supplizio auscultativo che non si vorrebbe veder appunto, finire mai. Porta ultima, verso il caos strisciante, prossimo, in questo mondo di pargoletti malcresciuti.. ridondanti d'acidità, ma non affini all'acido.

E che così sia allora!

Inchinatevi, miscredenti! 

Al potere dello stoner-doom che fu, e che riecheggierà concentricamente fino all'ennesimo big-bang.

Ph'nglui mgwl'nafh Bongzilla R'yeh wgah'nagl fhtagn!!!!!!!

(che tradotto da un'antica lingua mesoamericana, significa letteralmente: "Beccati sti cazzo di Bongzilla e prega che le orecchie non ti sanguinino fino al culo!!!!!!!!")

Case, fuckin', close.  

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